La partecipazione giovanile non è morta. Sta solo cambiando pelle. È quanto emerge dalla ricerca “Tu sei una persona che partecipa?”, promossa da Yepp Italia con il sostegno della Fondazione Compagnia di San Paolo, che ha coinvolto oltre 2 mila giovani tra i 15 e i 24 anni in Piemonte e Liguria.
A dispetto dei cliché, solo il 10% degli intervistati si dichiara completamente disinteressato alla partecipazione. La maggior parte (il 65%) afferma di “provare a partecipare”, mentre un quarto si riconosce pienamente nel ruolo di cittadino attivo. Ma cosa significa davvero “partecipare” per un giovane oggi? Il quadro che emerge è sorprendentemente articolato. Se per l’89% dei ragazzi il volontariato è la forma di partecipazione per eccellenza, anche stare con gli amici (79%), informarsi (83%) e perfino fare sport (70%) sono considerate azioni partecipative. La partecipazione, insomma, esce dai confini tradizionali del corteo e dell’associazione, per invadere la quotidianità.
Anche i social media, spesso accusati di alimentare l’isolamento, trovano spazio in questa nuova mappa della partecipazione. Ben il 73% dei giovani intervistati ritiene che esprimere le proprie idee online sia una forma legittima di attivismo. Tuttavia, solo il 14% dichiara di usare frequentemente i social con questa finalità. Un dato che segnala un potenziale ancora poco sfruttato: i social sono percepiti come strumenti di impegno, ma rimangono spesso un’arena silenziosa.
Per Marzia Sica, membro della Fondazione Compagnia di San Paolo: “Questo lavoro risponde alla necessità di capire il cambiamento del mondo giovanile. Come ente filantropico vogliamo cercare di integrarci in questa realtà e aiutare i giovani nell’attivismo. La ricerca fatta con Yepp italia ci permette di fare passi avanti in questo senso”.
A trainare l’impegno sono soprattutto i valori e le convinzioni personali, seguiti dal desiderio di cambiare le cose. E chi partecipa, lo fa in modo coerente anche nella vita privata: si informa di più, è più attivo nelle relazioni, persino nello sport. Forse, allora, il problema non è che i giovani non partecipano. È che lo fanno in modi nuovi, che gli adulti spesso faticano a vedere.