L’Italia è razzista, o lo sta diventando, e la televisione ne è, in parte, responsabile.
Lo si legge sulla delibera del 22 gennaio 2019 con la quale l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AgCom) ha avviato il procedimento per la creazione di un regolamento sanzionatorio specifico contro l’hate speech (o discorsi d’odio) e i comportamenti discriminatori.
Nel corso degli anni, infatti, AgCom “ha registrato un crescente e preoccupante acuirsi, nelle trasmissioni televisive di approfondimento informativo e di infotainment delle principali emittenti nazionali, del ricorso ad espressioni di discriminazione nei confronti di categorie o gruppi di persone in ragione del loro particolare status economico-sociale, della loro appartenenza etnica, del loro orientamento sessuale o del loro credo religioso”, recita il testo della delibera.
“Per ora è ancora una bozza di regolamento e rimarrà in consultazione pubblica per 30 giorni, durante i quali verranno raccolte le reazioni dei destinatari, ovvero le emittenti radiotelevisive”, spiega il relatore Antonio Nicita, commissario AgCom.
Già da tempo l’Autorità controllava il rispetto radiotelevisivo del pluralismo sia politico che sociale, ma l’adozione di questo regolamento nasce dalla necessità dell’istituzione di uno specifico presidio sanzionatorio. “Nei nostri regolamenti precedenti non era previsto esattamente il tipo di sanzione – continua Nicita – ora, invece, stiamo cercando di definire delle linee guida per poter segnalare alle emittenti determinati comportamenti illeciti e quindi procedere con una sanzione”. Multa che, secondo il nuovo regolamento potrà andare da dieci fino a 250 mila euro. In realtà, ha spiegato il commissario, ciò che realmente potrà fare la differenza non sarà la pena monetaria in sé, ma sarà l’aspetto reputazionale a fungere da deterrente: “I richiami saranno sempre pubblici sul nostro sito e, quindi, la trasmissione che verrà sanzionata per un comportamento scorretto recidivo ne perderà in reputazione”.
L’argomento è delicato, soprattutto in questo periodo politico. Il Ministero dell’Interno, attraverso l’osservatorio Oscad, e l’Unar – presso la presidenza del consiglio – hanno raccolto dati e segnalazioni relative a discriminazioni e reati discriminatori rilevando che, da gennaio 2013 a dicembre 2017, gli hate crime registrati sono cresciuti del 112% segnando un costante incremento annuo.
L’entità del legame di questa crescita con la situazione politica attuale è difficile da misurare, ma sicuramente – considerando la rilevanza che il fenomeno migratorio, ad esempio, ha assunto come tema di dibattito elettorale, ma anche come tema di disinformazione – è necessaria una sensibilizzazione più profonda.
Secondo Nicita, “non c’è dubbio che la rappresentazione del fenomeno da parte delle autorità, della politica, dei governi o di chi in qualche modo si fa paladino di un discorso pubblico, ha comunque un effetto confermativo rispetto all’opinione pubblica e rischia di diventare esemplare e quindi legittimo”.
Un’ultima specificazione importante è da fare per quanto riguarda il disciplinamento delle stesse questioni sui social network e sulle sharing platforms. “I nostri poteri sono chiari fin dall’inizio per quello che riguarda le emittenti radiotelevisive – spiega Nicita -sull’online, invece, non c’è una specifica copertura della legislazione vigente. La nuova direttiva approvata nel 2018, però, prevede di estendere gli obblighi e i principi che riguardano la discriminazione e la prevenzione degli hate speech anche alle piattaforme di media sharing”. Sotto un profilo meramente giuridico, la nuova direttiva non è ancora stata trasposta nella legislazione italiana, ma nel momento in cui sarà approvata dal parlamento, i principi che si stanno introducendo e rafforzando per radio e tv saranno automaticamente estesi anche alle piattaforme di media sharing.