“È stato un fulmine a ciel sereno”. Così Lorenza Patriarca, consigliera comunale del Partito democratico, commenta la decisione di chiudere il Goethe-Institut di Torino. Il centro va oltre la definizione di macchina di diffusione della lingua e della cultura tedesca: è primo in Italia e secondo in Europa, dopo Atene, e negli ultimi anni le sue attività sono cresciute quasi del 20 per cento.
Alla vigilia dei 70 anni dalla sua nascita, la sua chiusura ha un peso specifico superiore rispetto a quella del Goethe-Institut di Genova e di Trieste, tra le sette sedi italiane. O rispetto al forte ridimensionamento di quello di Napoli, che passa da sette dipendenti a uno. Per Torino, invece, si parla del licenziamento di tutti e 18 i dipendenti, a cui si aggiungono 15 collaborazioni continuative di liberi professionisti. Il valore dell’istituzione è strettamente legato all’importanza economica della Germania, primo partner commerciale dell’Italia e secondo mercato di sbocco per il Piemonte. Solo da gennaio a settembre 2023 sono state esportate merci per un valore di 4,8 miliardi di euro, una crescita del 23% rispetto al 2022. Se guardiamo solo a Torino, poi, l’incremento è stato del 46% per 2,4 miliardi di euro. Sullo sfondo, il Salone del Libro ha già scelto il tedesco come lingua ospite (al posto del classico paese ospite) per la prossima edizione: “In questo senso, perdere un’istituzione come il Goethe ci sembra veramente assurdo”, continua Patriarca. Intanto, corsi e attività vanno avanti e l’istituzione si affida al sostegno di Città, Confindustria, Camera di Commercio e sindacati.
“Un’eventuale chiusura dell’istituto andrebbe a indebolire un solido dialogo decennale e renderebbe tutta la nostra comunità culturale ed economica più povera”, spiega Dario Gallina, presidente della Camera di Commercio di Torino. L’istituzione si è unita alla causa inviando una lettera alla ministra federale tedesca degli Affari Esteri Annalena Baerbock, all’ambasciatore della Repubblica federale di Germania presso l’Ambasciata di Roma Hans-Dieter Lucas e alla presidente del Goethe-Institut Carola Lentz.
La lettera che invece comunicava la chiusura del centro, decisa dalla sede centrale di Monaco per il 31 gennaio 2024, è arrivata a ottobre, indirizzata ai dipendenti della scuola e agli studenti iscritti all’anno accademico corrente. La preoccupazione si è poi diffusa agli svariati operatori del territorio che hanno collaborato con l’istituto nel corso degli anni. Per questo Patriarca ha subito presentato una mozione di maggioranza in difesa del Goethe-Institut, che dopo tre commissioni con la direttrice Roberta Canu e con i sindacati è stata poi approvata in Consiglio comunale lunedì 13 novembre con 28 voti favorevoli, all’unanimità. Il testo vuole impegnare in primis il sindaco Stefano Lo Russo e poi le assessore competenti Rosanna Purchia alla Cultura e Gianna Pentenero alla Formazione professionale. Il primo obiettivo è scongiurare la chiusura definitiva della sede. Se questo dovesse risultare impossibile, l’idea è di salvarne almeno le attività, dislocate in un altro luogo. In questo senso, Comune e Regione dovranno coordinarsi con Unione Industriale, Università e Politecnico. “È fondamentale mantenere il presidio culturale e di formazione linguistica in altre forme, in modo tale che l’esperienza non vada perduta”, dice Patriarca. Lo Russo ha quindi scritto una lettera al ministro degli Esteri e al Consolato per scongiurare la chiusura. Per ora si attendono sviluppi, anche sul fronte lavoro perché la trattativa con i sindacati è stata avviata lunedì 13 novembre. Anche quella del governo con la direzione generale del Goethe di Roma sta procedendo e deve concludersi entro il 24 gennaio 2024.
Anche da Pentenero e Purchia, che hanno scritto la lettera insieme al sindaco, è arrivato il pieno sostegno: “Abbiamo incontrato più volte nelle ultime settimane i vertici torinesi del Goethe, i lavoratori e le rappresentanze sindacali: ci stiamo attivando perché i numeri non giustificano un taglio definitivo”. Pentenero e Purchia, in questo senso, hanno intenzione di allargare la richiesta di appoggio al numero più ampio possibile di soggetti.
“Sarebbe una grande perdita e senza una reale motivazione se non quella dovuta a un piano di tagli lineari”, spiega Purchia. Secondo Canu, infatti, “la scelta non è solo economica, è anche politica”, quindi va oltre una questione di revisione di spesa per esigenze di bilancio. La decisione rientra infatti nell’ambito di una ristrutturazione interna che vede la chiusura di nove centri, da Washington a Osaka fino alla Francia, che insieme all’Italia conta il maggior numero di sedi. In contemporanea, si prospetta l’apertura di nuove sedi in Europa centro-orientale, nel Caucaso e nel Pacifico meridionale.