Quando il 9 febbraio del 1990 James Arthur Baker, segretario di Stato degli Stati Uniti d’America, visitò Mosca per un incontro con Michail Gorbaciov, ultimo segretario del partito comunista dell’Unione Sovietica, il mondo stava vivendo un periodo di dirompenti cambiamenti. Da pochi mesi, il muro che divideva Berlino era caduto e all’orizzonte si intravedeva un nuovo futuro per l’ordine globale e le relazioni internazionali.
Tra il 1990 e il 2010, ben sedici Paesi ad est della Germania sono entrati a far parte della NATO, di cui otto ex repubbliche sovietiche (e quindi membri dell’ex Patto di Varsavia). Ma quando nel 2008, durante un summit a Bucarest, gli Stati Uniti hanno promesso all’Ucraina e alla Georgia (due ex repubbliche sovietiche) una futura adesione all’alleanza atlantica, la Russia di Vladimir Putin sembra aver visto in quel gesto un affronto alla sicurezza nazionale del proprio Paese. Un ennesimo tassello di una retorica anti-atlantica portata avanti dal presidente Putin che, già nel 2007, affermava: “Abbiamo il diritto di chiedere: contro chi è intesa questa espansione [della NATO]? E che cosa è successo alle assicurazioni fatte dai nostri partner occidentali dopo la dissoluzione del Patto di Varsavia? Quali garanzie di sicurezza abbiamo?”.
Nonostante la promessa fatta a Bucarest, Ucraina e Georgia non sono entrate a far parte della NATO. Al contrario, il governo ucraino ha dovuto fronteggiare – nel 2014 – l’invasione russa della penisola della Crimea e la creazione da parte dei separatisti filo-russi della Repubblica Popolare di Doneck nella regione orientale del Donbass. Due crisi che hanno spinto il governo ucraino – attualmente presieduto da Volodymyr Zelensky – a rendere l’annessione alla NATO una delle massime priorità del Paese.
Questa settimana, alla luce delle crescenti tensioni sul confine orientale ucraino – presieduto da circa 100 mila soldati russi – le forze della NATO e la Russia si sono incontrate per trovare una soluzione alle tensioni e, in particolare, discutere della richiesta per la quale il presidente Putin minaccia l’invasione armata: un documento ufficiale in cui venga scritto che l’Ucraina e la Georgia non potranno mai diventare membri della NATO. Un accordo che – di fatto – sancirebbe un’egemonia politica e militare russa su quei territori. Un’opzione che gli Stati Uniti e la NATO – come dimostrato durante i dialoghi – non sono disposti ad accettare.
“Gli incontri diplomatici non hanno portato alla vera e propria risoluzione del problema. Ma il vero risultato è proprio il fatto che si siano tenuti “ afferma Gabriele Natalizia, professore di relazioni internazionali presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” e coordinatore del Centro Studi Geopolitica.info. “Non ritengo che lo scoppio di una guerra sia verosimile, anche perché due fronti che stanno per dichiararsi ostilità armate non si incontrano il giorno prima per discuterne” sottolinea il professor Natalizia.
Ciò che potrebbe accadere – se i negoziati non dovessero andare a buon fine – potrebbe essere un ricorso ad azioni militari su scala ridotta e limitata da parte della Russia. Una decisione che permetterebbe delle piccole conquiste territoriali in Ucraina, senza scatenare una reazione su larga scala da parte delle forze della NATO (che hanno minacciato sanzioni economiche nel caso di ulteriori invasioni russe nel territorio ucraino). Tuttavia, secondo il professor Natalizia, anche questa opzione non gode di particolare credito: “La Russia potrebbe invadere e conquistare senza troppi problemi la regione del Donbass, ma ciò non gli darebbe alcun vantaggio strategico (a differenza della Crimea). Al contrario, è nell’interesse di Putin che tale regione rimanga a far parte dell’Ucraina, così da rappresentare un garante degli interessi russi all’interno dello stesso stato ucraino”.
L’obiettivo che appare essere più realistico e più funzionale agli interessi sia della Russia sia della NATO – e soprattutto degli Stati Uniti – è la cosiddetta “finlandizzazione” dell’Ucraina. “Dato che la NATO non può formalmente rinnegare la sua politica di allargamento (open door policy), gli Stati Uniti potrebbero di fatto acconsentire a non applicarla nel caso dell’Ucraina e della Georgia, rendendo in particolare la prima una ‘zona cuscinetto’ tra le due potenze, come accaduto nel caso della Finlandia già decenni fa. Una soluzione che tuttavia non incontra attualmente il favore del governo ucraino, che ha forti interessi nell’entrare a far parte del blocco occidentale” sottolinea il professor Natalizia.
Gli Stati Uniti avrebbero infatti un interesse strategico nel fare delle concessioni alla Russia in chiave anti-cinese. Come riportato anche dai report strategici statunitensi, la Russia è arrivata al picco delle sue potenzialità militari e nel prossimo futuro dovrà affrontare un ridimensionamento a causa del declino della sua economia. “Nonostante ciò, è negli interessi degli Stati Uniti fare concessioni alla Russia così da allontanarla dalla Cina, un’alleanza che già esiste ma che può essere indebolita da diverse divergenze, come quella sulla gestione degli affari interni del Kazakistan. Se gli Stati Uniti sapranno fare leva sui punti deboli dell’alleanza Russia-Cina, allora potranno mantenere il loro ruolo di maggiore potenza globale ancora per un po’ di tempo” conclude il professor Natalizia.
Articolo aggiornato il 5/03/2022: Nell’articolo si faceva riferimento a una promessa, fatta nel 1990 dal segretario di Stato americano, James Baker, al leader del Partito Comunista Sovietico, Michail Gorbaciov, sul fatto che la NATO – dopo la riunificazione tedesca – non si sarebbe spinta ulteriormente ad est. Nonostante ciò, Baker non ha mai fatto riferimento a tale promessa. Al contrario, il 12 settembre del 1990 fu concordato tra Unione Sovietica e Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna che: finché le forze sovietiche non avessero completato il loro ritiro dall’ex Germania Est, solo le unità di difesa territoriale tedesche non integrate nella NATO sarebbero state schierate in quel territorio; non ci sarebbe stato alcun aumento del numero di truppe o dell’equipaggiamento delle forze statunitensi, britanniche e francesi di stanza a Berlino; una volta che le forze sovietiche si fossero ritirate, le forze tedesche assegnate alla NATO avrebbero potuto essere schierate nell’ex DDR, ma le forze straniere e i sistemi di armi nucleari non vi sarebbero stati schierati.