La ricerca è un bene prezioso per il futuro del nostro paese, e manifestazioni come il Premio Nazionale GiovedìScienza – giunto quest’anno alla sua decima edizione – ne sono la dimostrazione. Dall’8 febbraio all’8 marzo, tutte le ricercatrici e i ricercatori con meno di 35 anni che operano in un Ente di Ricerca italiano possono candidare al Premio la propria indagine. L’obiettivo è quello di incentivare la divulgazione scientifica, premiando la capacità di comunicare in modo innovativo i risultati della ricerca per allargarne gli orizzonti, favorendo lo scambio di idee ma anche il coinvolgimento del pubblico e degli investitori.
Nello stesso solco si pongono anche gli sforzi di Edwige Pezzulli, vincitrice del Premio Nazionale GiovedìScienza 2019 e collaboratrice di SuperQuark. Nel 2017, assieme ad altre 5 astrofisiche, ha condotto uno studio sui buchi neri dell’Universo primordiale che è stato pubblicato sulla rivista Monthly notices of royal astronomical society.
Ci racconta brevemente il suo background?
Mi sono formata come astrofisica teorica. Nello specifico, la mia attività di ricerca è relativa ai primi buchi neri che si formarono al centro delle primissime galassie dell’Universo. Poco prima di partecipare all’edizione 2018 del Giovedì Scienza stavo per partire per Miami, dove avevo ottenuto un contratto da ricercatrice di tre anni; alla fine, contro ogni pronostico, ho deciso di tornare in Italia per inseguire la mia vera passione: la divulgazione scientifica. Una professione a cui attribuisco anche un preciso significato politico.
La sua idea è quella di una sorta di “ridistribuzione del sapere” dal basso?
Esattamente. Il traguardo scientifico è, prima di ogni altra considerazione, un bene comune, non soltanto in quanto a contenuti: il suo metodo può essere applicato a ogni ambito della vita quotidiana. Abbiamo più che mai bisogno di una “re-umanizzazione” del sapere scientifico: ogni persona, a prescindere dalla propria collocazione sociale, dovrebbe poter guardare il mondo con le lenti della scienza. La divulgazione rappresenta un primo passo utile per il raggiungimento di questo obiettivo. Purtroppo, in Italia, le attività di divulgazione non sono ancora riconosciute dal punto di vista curriculare: il più delle volte, sono concepite come una perdita di tempo che non porta alcun beneficio.
Che importanza ha avuto l’esperienza del Premio Nazionale GiovedìScienza nel suo percorso?
GiovedìScienza è una delle pochissime manifestazioni che danno importanza non soltanto al merito scientifico, ma anche al modo in cui i fenomeni vengono raccontati: si tratta di una competizione sana, in cui le competenze da divulgatrice fanno la differenza. Inoltre, è uno dei pochi festival che mettono in palio una cifra importante per garantire l’indipendenza di chi vuole intraprendere questa stupenda professione.
Cosa pensa del modo in cui i media raccontano le donne di scienza?
Lo stereotipo che si continua a portare avanti è che lo scienziato sia, prima di tutto, un maschio bianco. Per comprendere quanto questa narrazione abbia colonizzato il nostro immaginario, basti pensare al celebre esperimento draw a scientist, uno studio di diversi decenni fa in cui è stato chiesto ad alcuni bambini di disegnare uno scienziato. I risultati hanno rivelato uno sbalorditivo pregiudizio: il 99, 4 per cento dei disegni rappresentava uno scienziato maschio. Dei 5.000 disegni raccolti tra il 1966 e il 1977, solo 28 erano scienziati femminili, tutti disegnati da ragazze. Oggi, per fortuna, questi pregiudizi stanno iniziando a cadere, ma la strada verso l’uguaglianza sostanziale e contro le narrazioni svilenti è ancora lunga e tortuosa: tanto per fare un esempio, tre anni fa, quando il nostro studio fu pubblicato su un’autorevole rivista scientifica, siamo state etichettate come “le ragazze delle stelle”.