La crisi abitativa è “una questione nazionale”, ma per Giovanni Semi, sociologo dell’Università di Torino, nel capoluogo piemontese ha un aspetto peculiare: “Il numero, elevatissimo e difficile da quantificare, di alloggi vuoti. Secondo le stime, siamo in una forbice che va grossomodo tra i 20 e i 40mila”.
Con Giovanni Semi affrontiamo il tema che è al centro dell’ultimo numero del nostro quindicinale, Futura Magazine, dedicato a “Torino senza dimora”.
Qual è la peculiarità del caso torinese?
“Per capire il caso torinese può essere utile un paragone con altre grandi città italiane che vivono una situazione analoga, come Bologna o Milano. In particolare, pur nella comune situazione risultante, Torino differisce da Milano quanto alla genesi della crisi abitativa. Milano si è avviata lungo un sentiero di crescita spinto dalla speculazione immobiliare e dal fatto che è la capitale economica italiana: le case non si trovano perché non ci sono, l’offerta non riesce a stare dietro alla domanda. Torino rappresenta invece il caso opposto: non è attrattiva per capitali e investimenti e, infatti, da una ventina di anni è in una fase di depressione economica, come dimostra il valora al metro quadro delle case, bloccato ai minimi storici dal 2008. In questo contesto, cresce il numero di studenti che arrivano in città e che si trovano di fronte a uno strano mismatch tra l’offerta di case in assoluto e il tipo di domanda che essi rappresentano”.
Come si è arrivati alla situazione attuale?
“A livello italiano vanno evidenziati due fenomeni, uno di natura macroeconomica e uno demografico. Innanzitutto, c’è stata una perdita di valore dell’euro e di conseguenza dei redditi italiani. In questo contesto, le famiglie hanno meno reddito perché i salari sono bloccati da una trentina d’anni, senza calcolare poi l’erosione del potere d’acquisto causata dall’inflazione. In secondo luogo, quella stessa fascia demografica che ha investito, negli ultimi quarant’anni, nel mattone ha però avuto pochi figli. La trasmissione intergenerazionale di questi immobili avviene quindi in un quadro in cui sono più le case ereditate dei nuovi nati”.
La crescente digitalizzazione ha avuto un impatto anche sul settore immobiliare? Se sì, quale?
“L’arrivo delle piattaforme digitali di intermediazione abitativa – come AirBnB, Booking e simili – e la digitalizzazione rappresentata da Immobiliare.it o Idealista ha reso molto più semplice per la proprietà diffusa entrare nel mercato della locazione. Questo avviene anche approfittando degli unici due driver di crescita urbana degli ultimi decenni: turismo e popolazione studentesca”.
Ci potrebbe spiegare meglio quest’ultimo aspetto di crescita urbana?
“In un paese che si sta deindustrializzando e che vive crisi economiche gravi e ricorrenti, la crescita del settore turistico crea un incontro tra domanda e offerta molto significativo. Infatti, molto stock abitativo è passato dal residente a lungo termine all’abitante temporaneo, primariamente turista e secondariamente studente. Assistiamo quindi a una tempesta in cui c’è un surplus di abitazioni disponibili e al tempo stesso necessità di reddito: l’incontro tra domanda e offerta tende allora a spostarsi verso due popolazioni sicure e redditizie: studenti e turisti. Il residente di lungo termine – indebolito economicamente per i motivi che si dicevano prima – rischia di trovarsi a non poter pagare l’affitto e questo spaventa i locatori. Ci sono molti alloggi che probabilmente non sono adatti a studenti ma che i proprietari non mettono comunque sul mercato, per così dire, dei residenti di lungo corso perché temono finiscano in mano a famiglie insolventi. Verosimilmente questi immobili sono fuori dal mercato perché c’è ancora una quota molto importante di risparmio privato che consente alle famiglie di aspettare”.