La testata del Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” di Torino

Giornalisti sotto attacco: collaborare può essere la soluzione

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Le ragioni per preferire il giornalismo collaborativo al più tradizionale giornalismo solitario sono tante e sempre più funzionali a un contesto di insicurezza che prende di mira il lavoro giornalistico, soprattutto quello investigativo. “Nel 2023 sono stati 99 i giornalisti uccisi intorno al mondo. Nel 2024 sono più di 100 i giornalisti uccisi a Gaza. L’informazione è sotto attacco”, afferma Vera Peneda dell’European journalism center.

In tutti i contesti politici, nei regimi autoritari ma spesso anche nelle democrazie, i giornalisti continuano a essere target per la loro atttività di watchdog e sono spesso vittime di censura, minacce e attacchi fisici. In risposta all’attuale situazione sono nate reti di professionisti che portano avanti le storie di giornaliste e giornalisti uccisi a causa di quello che avevano scoperto. Dal crimine organizzato ai personaggi politici o d’affari, sono diversi i settori per cui il giornalismo investigativo risulta scomodo. Inoltre, “i governi non sempre risconoscono l’utilità sociale di quello che facciamo – spiega Miranda Patrucic dell’OCCRP -. Nella nostra redazione abbiamo degli esperti che ci aiutano a proteggere i giornalisti e non sempre ci riusciamo. Alcuni nostri collaboratori sono stati controllati da Pegasus, software di spionaggio del governo israeliano”.

Da chi è da anni nel settore sempre meno consigliato è lavorare da soli, come i cosiddetti “lone wolf”, i lupi solitari. Bastian Obermayer di Paper trail media spiega che fare questo tipo di lavoro non è conveniente, ma soprattutto non è sicuro: “Ci sono tantissime ragioni per non lavorare da soli. Prima di tutto, se sei da solo potrebbero ucciderti e la storia andrebbe perduta. Nelle squadre di giornalismo collaborativo, composte da 50 o 100 giornalisti, invece, la tua storia non morirà”. Un altro punto a favore della collaborazione è la possibilità di pubblicare le storie trovate su varie testate, in tutto il mondo e nello stesso momento, avendo così un grande impatto: “Questo non succede se un’inchiesta viene, per esempio, pubblicata solo in Germania”, spiega Obermayer.

Un esempio concreto è la rete di Forbidden Stories di cui è fondatore Laurent Richard: “Portiamo avanti le storie delle giornaliste e dei giornalisti uccisi per il loro lavoro”. In questo momento Forbidden Stories sta continuando il lavoro di alcuni colleghi arrestati in Azeirbaijan dal regime del presidente Ilham Aliyev.

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