Cambiano le norme ma i principi rimangono gli stessi: dall’intervento di questa mattina, 3 aprile, dei due avvocati Giovanni Battista Gallus e Francesco Paolo Micozzi all’International Journalism Fest che ha preso il via a Perugia con una giornata interamente dedicata a temi legali, è emerso come non costituiscano una vera rivoluzione per i giornalisti il nuovo Gdpr e il rinnovato Codice della Privacy, in conseguenza del quale il Garante, a gennaio 2019, ha aggiornato proprio le “Regole deontologiche relative al trattamento di dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica”.
“Il Gdpr ha previsto che sia compito degli Stati disciplinare il bilanciamento della libertà di espressione e informazione con la protezione dati personali – ha spiegato Gallus -, e che questa normativa si applichi in relazione allo Stato dove si trova il titolare del trattamento, cioè il giornalista”.
Come il giurista ha sottolineato, la normativa si applica non solo nell’ambito della professione giornalistica ma in senso più ampio a tutti i casi come pubblicisti, praticanti, e a chiunque manifesti una libera espressione del pensiero anche in forma accademica, artistica o letteraria.
Quanto alle categorie particolari di dati, quelle riguardanti ad esempio vita sessuale e stato di salute, Gallus ha precisato che si possono trattare nel rispetto delle regole giornalistiche: “in questo caso il bilanciamento tra diritto di cronaca e libertà fondamentali si trova nell’essenzialità dell’informazione al fine dell’interesse pubblico”.
Con il Gdpr resta inoltre invariata la disciplina del segreto professionale: il giornalista mantiene la possibilità – fondamentale per lo svolgimento del lavoro – di tutelare le proprie fonti; anche gli archivi sono tutelati, e il giornalista può conservare i documenti finché necessario, purché lo faccia assumendo le debite misure di sicurezza. Inoltre il giornalista non è obbligato, come gli altri titolari del trattamento, a fornire e far firmare l’informativa: sono sufficienti informazioni minimali.
L’avvocato Micozzi nel suo intervento si è soffermato in particolare sulle norme deontologiche: ha sottolineato la necessità di evitare di pubblicare, oltre ai nomi, anche informazioni “di contorno” – come ad esempio il posto di lavoro e le frequentazioni – che consentano di individuare con precisione chi siano le vittime di violenza sessuale o pedopornografia. “Seppur contravvenzionale, è pur sempre un reato” – ha precisato – “e per la sua configurazione non è necessaria l’iscrizione all’albo professionale”.
Le sanzioni vanno fino a 20 milioni di euro: se in sostanza la disciplina non è cambiata, non deve cambiare neanche l’etica nell’esercizio della professione.
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