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Gap di genere all’università, troppo poche le donne al potere

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Le donne nel personale docente complessivo dell’Università di Torino sono il 43%, in linea con gli altri atenei italiani. Ma il dato cala drasticamente al 28% tra i professori ordinari. Su 27 corsi di laurea, solo 6 sono a direzione di una donna. Degli 8 vice-rettori solo una è donna.

Sono alcuni dei dati più eclatanti emersi giovedì 14 marzo presso la Sala Lauree Blu del Campus Luigi Einaudi dove si è tenuto il convegno “Dal Gap ai Gep (Gender equality plans): il soffitto di cristallo in accademia tra discriminazioni persistenti e prospettive di equità”. L’incontro, inizialmente previsto per l’8 marzo, è stato posticipato per permettere al personale interessato di partecipare agli scioperi indetti per la festa della donna. La giornata è stata organizzata dai Comitati unici di garanzia per le pari opportunità e la valorizzazione del benessere di chi lavora contro le discriminazioni (Cug) dell’Università e del Politecnico di Torino, in collaborazione con il Centro interdisciplinare di ricerche e studi delle donne e di genere (Cirsde).

“Sono ancora sempre troppo poche le donne che riescono a sfondare il soffitto di cristallo” hanno ammesso tutti i presenti che hanno parlato dalla cattedra, in questa occasione di confronto attorno al tema del divario di genere. “Almeno all’università è ora che cambi qualcosa”. Dopo i saluti dei rettori Gianmaria Ajani e Guido Saracco e gli interventi di Loredana Segreto (Direttrice generale di Unito), Anna Calvo (Presidente di Cirsde) e Chiara Ghislieri (Presidente Cug di Unito), sono stati illustrati due studi che evidenziano la disparità di trattamento di cui le donne sono ancora oggi vittime.

Nel primo studio Rosy Musumeci, ricercatrice dell’Università di Torino, ha snocciolato i dati relativi alle carriere in una prospettiva di genere. In particolare, nella sua analisi “Genere e carriere: uno sguardo ai dati”, l’obiettivo era mappare la distribuzione di genere nelle carriere di Unito. Se per studentesse e dottorande il dato è sostanzialmente positivo, con l’indice che oscilla tra il 56 e il 60%, per il corpo docente e i ricercatori la tendenza si inverte in maniera evidente. Ma il quadro sconcertante nasce se guardiamo la differenza di trattamento per le donne che occupano ruoli di professore ordinario, professore associato e ricercatore. I parametri analizzati sono la lunghezza delle carriere, la permanenza nella posizione e la percentuale femminile nei singoli dipartimenti. Non solo si manifesta quella che viene chiamata “segregazione orizzontale”, ossia una selezione già in ingresso molto evidente in quei dipartimenti (Scienze Chirurgiche e Management, per esempio) dove anche la percentuale di studentesse è molto bassa: la differenza tra maschi e femmine nei ricercatori a tempo determinato oscilla tra i 10 e i 14 punti percentuali. Ma, soprattutto, un’abominevole “segregazione verticale”: ovvero una ridotta possibilità di accesso a livelli elevati di carriera. Le donne hanno meno possibilità di passare a posizioni più elevate e, di conseguenza, la loro permanenza in quei ruoli è mediamente minore (quasi 13 anni per gli uomini, poco più di 10 per le donne).

Il secondo studio, “Valutazione bibliometrica in ottica di genere: il caso Asn” (Abilitazione scientifica nazionale – Miur), è stato curato da Arianna Montorsi, referente per le Pari Opportunità del Politecnico di Torino. Analizzando il numero di pubblicazioni, di citazioni e la percentuale di abilitati alla professione per genere, Montorsi ha evidenziato le discriminazioni persistenti all’interno degli atenei italiani. Gli uomini pubblicano un 30% in più rispetto alle donne: non per merito, sottolinea lo studio, ma per numero e/o per finanziamenti. Le donne ultimo autore sono percentualmente meno degli uomini e i loro lavori sono meno citati (nell’ordine del 10-20%). A parità di curriculum, la probabilità per un uomo di essere abilitato come professore ordinario, professore associato o ricercatore è dalle due alle tre volte maggiore che per una donna, con punte di sette volte nell’area matematica e in quella medica.

Dati sconcertanti, che testimoniano come ci sia un urgente bisogno di intervenire. Ma come? Cristina Solera, ricercatrice Cirsde, ha individuato tre step d’azione: bisogna fare ricerca, studiare il fenomeno e identificare i fattori che portano alla creazione e alla diffusione delle uguaglianze. Poi bisogna individuare valide strategie per superarle ed estirparle. Infine, secondo Solera, è fondamentale  monitorare i risultati: troppe volte vengono annunciati progetti e strategie per la parità di genere senza poi osservare le reali ricadute di queste azioni.

Quanto è conosciuto questo problema all’università? Tutte le ricercatrici che hanno parlato al convegno concordano: serve un cambio di passo. Prima di tutto da parte dei vertici. Ed è proprio questa la chiave di lettura della giornata: non basta aumentare la presenza femminile nelle posizioni apicali, serve una “nuova cultura”, una rivoluzione di genere, per rompere davvero quel maledetto soffitto di cristallo.

FEDERICO CASANOVA