“Dobbiamo confrontarci, dobbiamo parlarne insieme perché ormai siamo una società plurale. Una cosa che dobbiamo fare è proprio ricucire le relazioni. Per esempio in questo momento l’Italia dovrebbe ricucire le relazioni che ha con l’Africa e con l’Asia. Perché non è possibile considerare le persone solo come un problema”. È questa per Igiaba Scego una delle vie per abbattere il razzismo popolare, per fare i conti con esso. Al Circolo dei Lettori, insieme al linguista Federico Faloppa e alla giornalista Ottavia Giustetti, la scrittrice ha riflettuto sul potere delle parole, talvolta usate come arma, ma contemporaneamente capaci di cambiare il mondo. Titolo dell’incontro di Biennale Democrazia, “La forza delle parole”.
Nella sua ultima opera “Cassandra a Mogadiscio”, pubblicata nel 2023, Scego racconta la guerra civile somala. Come lo descrive l’autrice, è il “libro dello specchio rotto”: in esso, come quando uno specchio cade a terra, ha cercato di raccogliere tutti i pezzi della ferita che il conflitto ha lasciato nella memoria della sua famiglia. Nel farlo utilizza l’italiano e il somalo insieme e, così, si riappropria della lingua simbolo della violenza coloniale. Violenza e conflitto che segnano chi è reduce da una guerra, lacerato tra una quotidianità in pace e un tempo, distante, di guerra. Fulcro dell’opera di Scego l’indagine del linguaggio e delle parole che sono state usate nel processo di colonizzazione per inferiorizzare, rendere nulle, umiliare le persone al fine di renderle schiave.
Faloppa, invece, porta sul palco il suo lavoro di ricerca e studio, raccolto in “Sbiancare un etiope”: topos radicato nelle culture europee, legato in modo stretto alla nostra identità e alla nostra storia, come un “meme culturale”. “Scrivere questo libro è stato un viaggio durato diversi anni, che mi ha portato a viaggiare in duemila anni di storia e attraverso diverse lingue”, racconta.
Per spiegare la potenza del linguaggio, Faloppa ha citato un passo del romanzo “Chalet della memoria” di Tony Judt. Il protagonista, malato di SLA (Sclerosi laterale amiotrofica), rendendosi conto di non essere più in grado di parlare, dice: “Noi dobbiamo salvaguardare lo spazio pubblico della parola”. “È un esempio che guarda all’abisso, ma che dall’abisso riesce anche a risollevarsi. Questo è possibile solo se lo facciamo insieme”, aggiunge Faloppa. Perché le parole abbiano un effetto positivo sulla storia, è essenziale “cambiare metodo”. Ad esempio, sostiene che per abbattere il razzismo culturale sia necessario “alzare l’asticella, perché slogan contro slogan, battuta contro battuta, superficialità contro superficialità non funziona”. Il rischio è “di replicare semplicemente gli stessi schemi e di non arrivare davvero alle ragioni strutturali che ci hanno consegnato il mondo in questo modo. Dobbiamo fare un tentativo maggiore, più faticoso, ma molto più produttivo”.