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Fede e coronavirus, le sofferenze della ripartenza

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Preghiere davanti a uno schermo, funerali in solitudine: anche le pratiche religiose sono state stravolte dal virus. Le misure restrittive in vigore dal 7 marzo in poi hanno bloccato il normale svolgimento di tutte le cerimonie religiose. Con l’ultimo decreto del 4 maggio c’è stato un segno di apertura: si è tornati a celebrare i funerali, sempre nel rispetto delle distanze di sicurezza e senza creare assembramenti.
Nessuna ripresa delle funzioni per cui si dovrà attendere almeno fine maggio. Per quanti si aspettavano un allentamento del “lockdown”, l’estensione del divieto delle celebrazioni in presenza si è trasformata in un’occasione di critica. Anche la Cei, la Conferenza Episcopale Italiana, è intervenuta con un duro comunicato stampa, accusando lo Stato di non rispettare la libertà di culto dei cittadini.
La polemica si è esaurita dopo che Papa Francesco ha ribadito come: «In questo tempo, nel quale si incomincia ad avere disposizioni per uscire dalla quarantena, preghiamo il Signore perché dia a tutti noi la grazia della prudenza e della obbedienza alle disposizioni, perché la pandemia non torni».
Il Governo attualmente sta studiando un piano per ripartire in sicurezza. Tra le ipotesi ci sono la celebrazione di messe a numero chiuso e dove possibile all’aperto, la moltiplicazione delle funzioni nei giorni festivi per distribuire le persone in orari diversi e l’obbligo di indossare guanti e mascherine.

IL MONDO CATTOLICO E LA PANDEMIA
Il ritorno alla normalità è ancora lontano e le comunità religiose si sono organizzate in maniera alternativa per garantire la vita spirituale dei propri membri. Dove non è arrivata la presenza fisica sono arrivate le piattaforme online. Così i sacerdoti hanno iniziato a celebrare le messe e le preghiere in streaming. La diocesi di Torino ha, ad esempio, organizzato in occasione della settimana di Pasqua un’ostensione straordinaria della Sacra Sindone su Facebook. Per Cesare Nosiglia, arcivescovo del capoluogo piemontese, la pandemia si è rivelata un’opportunità di dialogo e riflessione sugli strumenti digitali e il loro rapporto con la fede: «Se non si può dire la messa in chiesa con la gente cerchiamo comunque di coinvolgerla, come già succede da tanti anni in Italia con la messa televisiva ogni domenica – spiega Nosiglia – la scia che abbiamo preso mi sembra buona. Le cose vanno fatte con intelligenza, sempre mettendo al centro la persona e non solo lo strumento, in attesa di poter tornare a celebrare alla presenza dei fedeli».

LE DIFFICOLTÀ DELLA COMUNITÀ EBRAICA
Fortemente svantaggiata dall’emergenza è stata soprattutto la comunità ebraica. Come spiega Ariel Di Porto, rabbino capo di Torino: «Noi rispetto ad altre comunità abbiamo un grosso svantaggio: il nostro giorno principale di preghiera è il sabato, durante il quale non possiamo utilizzare mezzi elettronici. Non abbiamo potuto celebrare online come gli altri».
Per sopperire alla mancanza delle funzioni religiose però la comunità ebraica ha cercato di preparare un programma culturale molto nutrito. Lezioni online, gruppi whatsapp e un concerto in occasione dello Yom Ha’atzmaut, l’anniversario dell’indipendenza dello stato di Israele. Come conferma Di Porto anche in questo caso la religione è diventata digitale: «Ha avuto una grande partecipazione, quasi un migliaio di visualizzazioni che per il nostro contesto sono molte».

Articolo tratto dal numero di Futura Magazine del 6 maggio 2020. Leggi il Pdf cliccando qui 

FRANCESCA SORRENTINO