“Un giorno avrei abitato in questa città, percorso le sue strade, fin dove lo sguardo si perdeva; avrei esplorato questi palazzi, vissuto delle storie con questa gente. Vivendola, la città, questa strada l’avrei imboccata dieci, cento, mille volte”. In queste parole di Xavier, giovane studente in Erasmus a Barcellona protagonista del film “L’appartamento spagnolo”, si può condensare il senso del progetto.
Nato nel 1987 per volere dell’Unione Europea, l’Erasmus avrebbe cambiato il modo di viaggiare e vivere l’estero di un’intera generazione. Ma allora ancora non si sapeva. Viaggiare voleva ancora dire andare in una agenzia di viaggio e prenotare con pazienza ogni meta. L’alternativa era affidarsi alla vecchia tecnica dell’autostop. E tutto questo era disgiunto dal percorso scolastico.
L’idea di permettere agli universitari europei di vivere un periodo di studio fuori dal proprio paese, riconosciuto dall’università di appartenenza, nasce nel 1969, grazie all’intuizione dell’italiana Sofia Corradi.
Soprannominata “mamma Erasmus” è stata pedagogista e consulente scientifico della Conferenza permanente dei rettori delle università italiane.
“Avevo pensato il progetto Erasmus con due obiettivi principali. Promuovere la pace tra i popoli per eliminare i pregiudizi e favorire la democratizzazione degli studi universitari. La maggior parte dei giovani non arriva neppure a iscriversi all’università – precisa la Corradi- l’elemento che fa la differenza è quello economico. Molti non hanno la possibilità di studiare, figuriamoci permettersi di affrontare i costi di un anno all’estero: era un lusso per gli studenti ricchi”.
In questi 32 anni, circa 3 milioni di studenti hanno potuto soggiornare all’estero usufruendo di una borsa di studio.
Ma il viaggiare Erasmus non somiglia quasi in nulla ad un viaggio di piacere: “è una situazione costruita quasi nel dettaglio per avere effetti educativi – afferma Sofia Corradi- Abbiamo a che fare con un viaggio stanziale di qualche mese. Si ha tempo per interagire e approfondire la conoscenza e il dialogo con gli abitanti del luogo”.
Un turista si limita a girare superficialmente per la città, visitando musei e monumenti non c’è un vero scambio. Lo studente Erasmus ha la possibilità di interagire con persone simili a lui sugli argomenti della normale vita intellettuale, affettiva e quotidiana.
Secondo gli ultimi sondaggi della Commissione Europea del 2017 circa l’80% degli intervistati tra gli ex studenti Erasmus ha dichiarato di aver acquistato una maggiore consapevolezza interculturale dopo il soggiorno all’estero. E non è un caso se il 33% di loro ha trovato all’estero anche il proprio compagno di vita.
L’esperienza dell’Erasmus è considerata ormai non solo un momento universitario ma un fenomeno culturale. Un’occasione per imparare a cavarsela in un ambiente diverso dal proprio, oltre che un momento in cui lo studente inizia ad assumersi delle responsabilità.
I ragazzi che aderiscono al progetto Erasmus sono giovani tra i 18 e i 24 anni ancora in formazione, ma vengono trattati da adulti come spiega Sofia Corradi:”L’ambiente in cui si reca lo studente è sì diverso ma non totalmente estraneo, perché in fondo le università sono popolate dagli stessi eventi e dalle stesse persone. I ragazzi vengono supportati e indirizzati ma lasciati molto autonomi a cavarsela da soli. Si impara anche quella creatività per dar luogo all’autosufficienza”. L’Erasmus permette a persone di varie condizioni economiche di accedere all’esperienza di un viaggio all’estero che altrimenti non si potrebbero permettere:”Molti studenti per arrotondare le borse di studio trovano piccoli lavoretti per fare esperienze che non farebbero magari restando a casa e approfondire la conoscenza delle persone e dei luoghi – conclude Sofia Corradi- e questo è prezioso”.