Influenza aviaria in Europa. Un’emergenza silenziosa

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Si è risolta con l’abbattimento degli animali e la pulizia dei pollai infetti l’emergenza per l’influenza aviaria nell’astigiano. La scorsa settimana erano stati identificati e isolati due focolai a Montechiaro d’Asti e Montiglio, nei capannoni dell’azienda “Varesio Renato”. Ancora per diverso tempo, almeno un mese, la Regione e l’Istituto zooprofilattico di Torino prenderanno dei campioni e svolgeranno le ispezioni nel raggio di 10 chilometri dai luoghi colpiti, ultima tappa della procedura di gestione dell’emergenza.

L’episodio di Asti si inserisce in un generale aumento delle manifestazioni del virus ad alta patogenicità H5N8, che negli ultimi mesi si è spostato decisamente sugli allevamenti del Nord-Italia, zona particolarmente sotto stress dal punto di vista epidemiologico, se consideriamo il contesto europeo. “È una situazione difficile – dice Silvia Bertolini, ricercatrice all’Istituto zooprofilattico di Torino – L’aumento delle segnalazioni non dipende dall’inasprimento dei controlli ed è sintomatico di un momento particolare, in cui la prevenzione e l’adozione dei dispositivi di protezione individuale sono fondamentali. Bisogna investire in biosicurezza”.

L’emergenza si combatte in laboratorio
Il pericolo aviaria non è alle spalle

Alcuni anni fa la fobia per l’influenza aviaria si era diffusa in tutto il mondo, dopo i casi di mortalità tra gli essere umani registrati soprattutto in Asia, e anche da noi si vedevano persone con la mascherina per proteggersi dai germi. Oggi non ne parla più nessuno, eppure la realtà è che la situazione non è mai stata così grave.

Secondo i dati forniti dall’Istitituto zooprofilattico delle venezie, il centro di riferimento per le analisi sulla salute animale con sede a Padova, all’inizio di novembre 2016 in 29 Paesi europei si è registrato un aumento dei casi di aviaria, soprattutto nella fauna selvatica. Tre giorni dopo il Ministero della Salute ha emanato un provvedimento di definizione delle misure da adottare a livello nazionale negli allevamenti avicoli presenti in aree a rischio, accanto alle regole stabilite dalla normativa europea. Un anno dopo le cose sono peggiorate.

In Italia sono stati scoperti 21 nuovi focolai nel pollame domestico e quattro nelle specie selvatiche. In molti Paesi europei si sono registrati quest’anno i primi casi di aviaria, come per esempio in Austria, Belgio, Bosnia, Lituania, Lussemburgo, Macedonia, Portogallo e Repubblica Ceca. Si parla di 9 milioni e 923 mila capi interessati dalla malattia soltanto quest’anno, con un picco di 2 milioni e 700 mila in Ungheria. L’Italia è seconda in questa classifica del contagio con 2 milioni e 144 mila volatili coinvolti tra allevamenti industriali, rurali e selvatici.

Per arginare il contagio dell’aviaria serve prevenzione

Il virus dell’aviaria viaggia veloce per tutto il continente, trasportato dagli uccelli selvatici, dai corsi d’acqua e dagli automezzi, che muovono animali, mangimi e materiali tra gli allevamenti. Gli addetti ai lavori sono obbligati per legge a proteggersi e ad adottare una prassi igienica per circoscrivere i focolai e limitare il contagio. Ormai sono saltati anche i limiti climatici alla diffusione dell’epidemia. H5N8 sopravvive meglio nelle stagioni fredde, ma questo è diventato un fattore imprevedibile, perché la scorsa estate sono stati registrati moltissimi casi. I rischi per l’uomo sono limitati e si verificano solo in condizioni igieniche difficili. Più è affollato l’allevamento, maggiore è la virulenza del contagio. “L’eliminazione dei capi è una pratica che non tutti vedono di buon occhio – continua Bertolini – però rimane l’unico metodo di protezione efficace nell’immediato. Bisognerebbe decongestionare gli allevamenti, che al momento riportano una densità di animali troppo alta e una concentrazione di capannoni spaventosa”.

La fauna selvatica è il primo mezzo di contagio

Nello studio dell’epidemia, agli addetti ai lavori interessa la vicinanza geografica, ma soprattutto quella funzionale, ovvero tutti i collegamenti di filiera tra allevamenti anche distanti geograficamente. I fattori di rischio sono molti e complessi. Di fatto è difficile tracciare le cause della diffusione del virus e identificare con precisione dei responsabili. La presenza della malattia viene scoperta attraverso le ispezioni del settore di prevenzione veterinaria regionale, che procede ai campionamenti effettuati sul territorio dai medici delle Asl locali, ma non solo. Gli operatori del settore procedono al monitoraggio del territorio e sono particolarmente attenti alle condizioni degli animali selvatici, a cui è difficilissimo impedire di entrare in contatto con gli allevamenti. La normativa prevede misure rigide e sanzioni per chi commette irregolarità o ritardi nelle segnalazioni dei casi di aviaria, e l’affinamento delle procedure diagnostiche hanno migliorato i livelli di sicurezza, ma bisogna ancora lavorare molto sullo studio delle specie coinvolte e sulla prevenzione.

DAVID TRANGONI