La testata del Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” di Torino

Elezioni UniTo, i tre candidati a confronto alla Cavallerizza Reale

condividi

Il dibattito tra i professori Raffaele Caterina, Cristina Prandi e Laura Scomparin, candidati alla carica di rettore o rettrice dell’Università degli Studi di Torino per il sessennio 2025-2031, inizia con pacatezza e diplomazia. Non mancano però le divergenze – alcune più palesi di altre – sia nei contenuti sia nella postura. Il confronto, moderato dalla giornalista Chiara Pottini, si svolge a ritmo serrato: alla domanda rispondono per tre minuti i tre candidati o i loro prorettori, con diritto di replica di un minuto per massimo tre volte.

A proposito della visione per i prossimi anni, Caterina ha parlato di crescente internazionalizzazione, del ruolo centrale che l’Università dovrà avere nello sviluppo dei territori limitrofi e nel consolidamento dell’eccellenza del settore sanitario piemontese. Prandi si è concentrata sulla necessità di traghettare l’Università verso il futuro attraverso valori come la sostenibilità e la ricerca. Scomparin, in controtendenza rispetto agli sfidanti, commenta: “Non credo sia realistico pensare a come lasceremo l’Università tra sei anni, ma credo che avere una visione strategica significhi anticipare e pensare con visione quali siano le sfide del futuro”.

A proposito del benessere dei lavoratori di UniTo, Prandi sottolinea l’urgenza della costruzione di un rapporto di fiducia con l’ amministrazione tramite pratiche orientate più al prodotto del lavoro che al controllo dell’orario lavorativo. Scomparin ha lasciato la parola al candidato prorettore, Luca Brazzi, che ha parlato di welfare di comunità e di flessibilità del lavoro. Caterina invece si è concentrato sul lavoro agile e sul riconoscimento del valore del proprio lavoro.

Le sfide dell’internazionalizzazione e del precariato

L’internazionalizzazione, per Scomparin, deve coinvolgere tutti i settori: dalla didattica, alla ricerca sino ai servizi. Però, sostiene Scomparin, è fondamentale investire per dare una direzione all’internazionalizzazione: è necessario saper accogliere gli studenti e i ricercatori assieme ad altri Atenei del territorio, come il Politecnico di Torino, con la città e con il potenziamento dei servizi. Il processo verso l’interculturalità passa anche per periodi di mobilità brevi, che rendano fruibile l’esperienza Erasmus a una platea più ampia. Per Caterina, invece, internazionalizzazione significa potenziare l’offerta didattica in inglese o in altre lingue, se strategiche: è centrale infatti comprendere quali siano i mercati esteri da coltivare. Suggerisce poi Caterina di implementare la capacità di negoziazione burocratica. Prandi pone all’uditorio una domanda centrale: “Perché desideriamo l’internazionalizzazione?”. E continua: “Vogliamo creare un ambiente internazionale di qualità, come quello che i nostri ragazzi cercano all’estero”. Prandi si concentra sull’internazionalizzazione attiva, sulla necessità di creare una strategia di crescita che passa per migliori posizionamenti nei ranking internazionali.

Gli spazi di studio e di lavoro, secondo Caterina, dovranno essere regolati da una pianificazione di almeno due anni. “Gli spazi per la socializzazione, per creare comunità e valore della didattica in presenza” sono fondamentali. Prandi, invece, si dice scettica rispetto ai grandi investimenti edilizi: “Investire nel mattone toglie fondi a didattica e ricerca. Non possiamo permetterci di abbassare la qualità dell’offerta formativa” ha commentato. Risponde Scomparin: “Il tema non è quello della competizione tra le spese, che devono essere tutte progettate con oculatezza”. La docente di Diritto processuale penale propone l’istituzione di tavoli permanenti sull’edilizia e una spinta alla costruzione partecipata degli ambienti che, evitando varianti in corso d’opera, riduce anche i costi.

Il tema del precariato nella ricerca unisce i tre candidati, che la considerano a tutti gli effetti un’emergenza. Secondo Prandi, bisogna pensare a livello nazionale facendo pressioni sul Ministero e a livello di Ateneo per coprire la situazione emergenziale con risorse apposite. Scomparin suggerisce invece di far sinergia con altre Università e con l’Unione europea, che vigila i fondi spesi nell’ambito del Piano nazione di ripresa e resilienza (Pnrr). “La gestione del precariato – continua – va giocata sul piano internazionale e non può essere disordinata”. Caterina, come Prandi, parla di due assi su cui il prossimo rettore o la prossima rettrice dovrà muoversi: quello nazionale e quello di Ateneo. Caterina suggerisce di diluire in tre anni l’emergenza, mettendo a preventivo il tempo necessario per capire come affrontare la situazione.

Libertà di espressione e diritto allo studio

Il terreno di confronto si sposta poi sulla mobilitazione studentesca e sulla gestione dei momenti di tensione, tra libertà di espressione e diritto allo studio e al lavoro. Secondo Scomparin, le occupazioni sono proteste visibili sui grandi temi: bisogna convogliare la discussione in un canale che non sia quello di protesta. E quando la protesta è inevitabile, è inevitabile anche “andare nei luoghi di conflitto per mediare tra due diritti costituzionalmente tutelati e di pari valore”. Anche per Caterina la fuga dallo scontro “non produce effetti positivi: essere presenti è difficile, ma è necessario. La presenza e la negoziazione sono centrali, ma l’obiettivo è assorbire la protesta nella discussione accademica”. Anche Prandi riconosce un ruolo fondamentale alla presenza, ma è necessario contenere il conflitto nelle istituzioni e, quando non è possibile, “dare voce a tutti mettendo dei paletti ben chiari su cosa non si può tollerare”.

La relazione dell’Università con il territorio, secondo Caterina, si snoda attorno all’adaguatezza delle sedi rispetto ai luoghi e alle loro necessità, da valutare attentamente in chiave strategica. Prandi pone i temi del potenziamento del personale amministrativo e della necessità di evitare di intraprendere ricerche sovrapponibili a Università vicine, con le quali si deve invece collaborare “per massimizzare impatto e complementarietà”. Commenta Scomparin: “Le sedi decentrate hanno un senso quando sono strategiche e non tutte in passato lo sono state. Tuttavia, rappresentano un ampliamento del diritto allo studio perché ci consentono di raggiungere studenti che a Torino non avremmo intercettato”.

La centralità del diritto allo studio accomuna i tre programmi, con alcune lievi discrepanze. Per Prandi si deve valutare l’estensione della no tax area, attualmente fissata ai 26mila euro di Indicatore della situazione economica equivalente (Isee), a 30mila euro. “Bisogna anche considerare, oltre al diritto allo studio, la qualità dei servizi, che non può diminuire” aggiunge Prandi, che continua sottolineando la necessità di un’interlocuzione con la regione Piemonte circa le tempistiche di erogazione delle borse di studio dell’Ente regionale per il diritto allo studio universitario (Edisu). Prandi si è poi anche espressa sulla tematica dell’housing auspicando politiche di contenimento dei costi. Scomparin sostiene invece che l’innalzamento della no tax area a 30mila euro di Isee sia una priorità: “L’università non deve diventare una fotografia della disparità, eppure lo sta diventando dato che diminuiscono le richieste di sussidio: questo significa che la soglia economica di ingresso si è alzata”. E propone allora di agire secondo due direttrici: nell’immediato, è necessario il monitoraggio da parte del comune sugli alloggi sfitti per pensare poi a una campagna di affitto agli studenti a prezzo calmierato mentre sul lungo periodo si potrebbe considerare il project finanzing che prevede prezzi calmierati per ottenere l’appalto. Secondo Caterina, è prioritario un ragionamento serio di collaborazione con i privati per sollecitare un offerta che faciliti il reperimento di soluzioni efficaci. Aggiunge poi: “Il corpo studentesco è eterogeneo: percorsi più flessibili, anche tramite l’erogazione a distanza di almeno parte dell’offerta formativa, potrebbero aiutare chi ha difficoltà a frequentare i corsi in modalità tradizionale”.

Il gender gap

L’ultimo tema su cui i tre candidati si sono confrontati è stato il gender gap. Secondo Scomparin, la società perde una grande possibilità di sviluppo ignorando le competenze femminili. Scomparin nota poi come la scarsità di donne non sia un problema solo dei ruoli apicali – come tra i professori ordinari – ma anche tra i ricercatori. “L’approccio che propongo è quello di intervenire con investimenti specifici e con il monitoraggio dei lavori meno nobili all’interno dei dipartimenti, spesso affidati alle donne. Inoltre, è necessario mettere in campo politiche più efficienti di contrasto alle molestie”. Caterina ha parlato invece di due radici sulle quali lavorare per contrastare il gender gap: la maternità e i pregiudizi. Il secondo dei problemi va contrastato sostenendo le donne con politiche di accesso alla qualifica di ricercatore/ricercatrice a tempo determinato in tenure track (Rtt) e fare formazione obbligatoria sui gender bias. Quanto alla maternità, deve essere facilitata anche la paternità, così che i ruoli di cura non pesino esclusivamente sulle donne. Sottolinea Caterina: “Inoltre, è importante portare attenzione alle lavoratrici precarie che più spesso incontrano difficoltà maggiori”. Anche Prandi si è espressa sul tema portando l’attenzione sul fenomeno delle leaking pipelines, ossia dell’abbandono delle ricercatrici, e sulla necessità di monitorare costantemente la disuguaglianza.

Il confronto si è poi concluso con un appello al voto: Caterina ha puntato tutto sulla sua esperienza e sul valore della discontinuità rispetto a una governance, quella di Stefano Geuna, “deludente”. Prandi, invece, ha sintetizzato il proprio programma parlando di chiarezza e autorevolezza. Scomparin ha sottolineato il valore di una visione “alta e concreta al tempo stesso: non rappresento un’area, ma l’interesse generale”.

Articoli Correlati