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Durbiano (Poli): “Il piano regolatore attivi energie dal basso”

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Dopo 30 anni Torino potrà avere un nuovo piano regolatore generale (Prg), ma in città sono presenti delle opportunità di sviluppo, urbanistico ed edilizio che vanno regolamentate? Secondo Giovanni Durbiano, architetto e professore ordinario di Composizione architettonica presso il Politecnico di Torino “Il Prg ha un senso evidente se c’è un grande motore di crescita, durante un boom economico ad esempio. Il piano del 1995, attualmente vigente, ha avuto una forte carica propulsiva fino alle Olimpiadi invernali del 2006, per poi esaurire la sua funzione. Al tempo era stato contestato per i suoi vincoli e le sue regole contro la libera crescita e l’iniziativa privata, ma ha promosso l’evoluzione della città”.

“A Torino oggi non c’è nessun sviluppo, per cui non serve un piano che vincoli, piuttosto che promuova – spiega il professore -. Servirebbe qualcosa che assomigli a un piano più tattico, che strategico. Che venga detto cosa si può fare e non cosa non si può fare. I processi trasformativi vanno innescati prima di regolamentarli”.

Questo tipo di trasformazioni avvengono grazie al dialogo tra amministrazione e cittadini. Quando i cittadini non si identificano nell’azione politica, non vi è alcun tipo di cambiamento. Secondo Durbiano, il rischio è che il futuro piano regolatore realizzi pochissimi cambiamenti se non verrà supportato da politiche e pratiche che si rendano conto dei nuovi bisogni dei cittadini torinesi. Riconoscersi nei rappresentanti politici, considerare la multi diversità nei quartieri, dare una possibilità ai giovani per restare a Torino, sono questioni che per Durbiano devono trovare una risposta non solo all’interno del piano, ma anche nella politica locale.

L’identificazione e il Parco della salute

Un investimento da 400 milioni per una struttura sanitaria all’avanguardia. Innovazione, opportunità d’occupazione e ricerca.

“Il Parco della salute – spiega Durbiano – non è una semplice opera immobiliare, ma anche un’occasione per coinvolgere la popolazione nel dibattito sul futuro comune. L’obiettivo del parco è riattivare un’identificazione degli interessi dei cittadini rispetto una qualche azione politica. Una struttura la cui realizzazione è intrisa di temi politici. Si dovrebbero sollecitare le persone a prendere voce su un provvedimento politico trasversale alle formazioni partitiche tradizionali. Bisogna ricostruire il contratto tra le parti sociali e mettere in discussione la separazione tra fatti e valori. La separazione tra dimensione politica e dimensione tecnica non è più funzionale come un tempo, le differenze sono più frammentate.”

Bisogno di diversità

Il professore poi si sposta su un altro tema: le differenze tra i quartieri torinesi, riconoscibili sia dal punto di vista urbanistico che sociale. Per rispettare l’eterogeneità degli abitanti, Torino necessiterà delle modifiche.

“La mia speranza è che si pongano in essere le condizioni per avere un laboratorio politico che modifichi lo stato di stallo della trasformazione cittadina. Bisognerebbe intervenire ai Murazzi, alla Manifattura tabacchi, al Palazzo del lavoro, ma anche cambiare le case, rifare la zona nord che è abitata al 90% da immigrati che non hanno luoghi in cui identificarsi anche simbolicamente. C’è da ripensare un’intera città, un lavoro che non può fare un piano regolatore o un assessore. Sono progetti che si realizzano tramite movimenti spontanei, che riconoscano in uno spazio specifico un proprio progetto politico. Se Torino si trasforma diventa più interessante. Per rinnovarsi bisogna seguire la super diversità.”

L’opportunità delle Molinette

Il Parco della salute si farà e tra circa 5 anni ci sarà il trasferimento delle funzioni sanitarie dalle Molinette. Per Durbiano, una volta realizzato il passaggio si otterrà un luogo enorme, vuoto e utilizzabile.

“La struttura può diventare l’esperimento urbano di super diversità più interessante d’Europa. Per far sì che ciò accada bisogna parlarne e bisogna sapere cos’è. Credo che l’amministrazione sia a conoscenza di questa possibilità. Non so se ha la capacità di intervenire, temo sia un po’ ostaggio dei propri vincoli. Per investire nelle prospettive future bisogna percepire un grande movimento di cambiamento dietro. Oggi così non è, sarebbe potuto esserlo con la Appendino. Era una legislatura nuova che rompeva con la tradizione di centrosinistra e che poteva essere capace di rinnovare e di interpretare un moto popolare di ribellione, ma si è rivelata incompetente. Ora siamo tornati a un’amministrazione di centrosinistra, figlia di una certa competenza amministrativa, che manca invece di lungimiranza. Cerca di gestire l’ordinario, un compito legittimo, ma non si occupa di una prospettiva più a lungo termine. Si deve conoscere la complessità del mondo e si deve avere la capacità per comprenderla. Al Politecnico ci saranno le elezioni per il nuovo rettore e spero che chi lo diventi sia in grado di interpretare questo ruolo di bravo amministratore interno e politico. Ho l’impressione però che non tutti i candidati abbiano questa capacità.”

Fare restare i giovani a Torino

Piano regolatore e problema demografico. Dall’incontro di mercoledì 15 Novembre presso la scuola Holden è emerso il racconto di una città di passaggio, dove molti universitari si fermano per studiare ma vanno a lavorare altrove. Il professor Durbiano osserva l’argomento in maniera differente.

“È vero che si cerca lavoro anche fuori, ma è anche vero che Torino oggi è innanzitutto una città universitaria. Lo è perché costa poco la vita, molto meno di Milano. Come si fanno restare i giovani? La soluzione si ricollega alle risposte precedenti. I giovani sono disposti a discutere, ma si dovrebbero definire nuovi movimenti e formazioni politiche in cui identificarsi. Come quelli sul clima, sulle trasformazioni climatiche si sono costruiti enormi movimenti in cui riconoscersi. Se il problema viene ignorato, non basterà Torino 2030. La città sarà ancora più disabitata, ci saranno meno studenti, i prezzi sì saranno più bassi ma solo chi non potrà permettersi di andare altrove verrà qui. Se Torino si sviluppa come laboratorio politico e sociale, diventa un luogo interessante e attrattore.”