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Toro-Juve 3-2, 35 anni dopo: il ricordo di Beppe Dossena

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Giochi contro la Juventus di Michel Platini, i più forti del mondo guidati dal più forte del mondo. È il 27 marzo 1983. Perdi 0-2. Mancano 20 minuti. Alcune squadre vivacchierebbero per mantenere uno svantaggio onorevole, o per segnare il gol della bandiera. Poche penserebbero di poter portare a casa un pareggio. Solo il Torino è riuscito a rimontare quei bianconeri in tre minuti. Al 71esimo Giuseppe, detto Beppe, Dossena, al 72esimo Alessandro Bonesso, al 74esimo Fortunato Torrisi. Dossena, Bonesso, Torrisi: da 35 anni, un mantra per i tifosi granata.

La “Mondial-Juve”, la Vecchia Signora ossatura della nazionale campione del mondo con l’aggiunta di Platini e “Zibi” Boniek, è battuta senza che abbia il tempo per rendersene conto: con la sconfitta nel derby, lo scudetto ha preso ormai la strada di Roma. Il Torino riscatta, invece, un’annata senza infamia e senza lode con un derby da leggenda.

Se Bonesso e Torrisi non hanno proseguito la carriera su questi livelli, discorso diverso si deve fare per Dossena, campione del mondo nel 1982 e protagonista di un importante finale di carriera nella Sampdoria, con la quale vincerà campionato, Coppa delle Coppe, Coppa Italia e Supercoppa italiana. È proprio Dossena a ricordare l’anniversario di quella partita leggendaria.

Dossena, secondo lei è stato uno dei derby più spettacolari degli ultimi 35 anni?

Certamente sì, per il susseguirsi delle emozioni, dei gol e di tutto quello che si è venuto a creare in campo.

 

Dopo il gol dello 0-2 di Platini cosa vi siete detti?

Forse non credevamo di poter ribaltare il risultato, ma avevamo la convinzione di potercela giocare ancora. Ma quello era lo spirito dei derby del tempo. Anche in svantaggio, anche contro la squadra più forte, c’era la volontà e il desiderio di lottare. Erano armi che avevamo già, quindi non ci siamo detti niente di particolare.

 

Secondo lei manca questo spirito battagliero al Toro di oggi?

Non so, è cambiato tutto. Il calcio di oggi è un’altra cosa. Però sono rimasti i valori tecnico-tattici, e poi conta ancora la personalità. Quando c’è tutto questo, si ha una squadra competitiva.

 

Il Torino con Walter Mazzarri non è migliorato nei risultati. Secondo lei c’è stata troppa fretta nell’esonerare Sinisa Mihajlovic?

Vedendo il modo di giocare completamente diverso tra i due allenatori, forse sarebbe stato meglio aspettare giugno e poi prendere strade diverse. Poi, il presidente Urbano Cairo ha una visione diversa dalla mia, fa le sue valutazioni e ha sicuramente gli strumenti per analizzare al meglio la situazione.

 

Tornerebbe al Torino?

Sì, ma non ho speranze. La situazione del presidente è molto semplice: un uomo solo al comando, e così deve essere. E poi, pochi atleti di successo sono rimasti nei club dove sono cresciuti. Credo, però, che non si debba avere paura dell’intelligenza e della personalità. Tra i giocatori campioni del mondo nel 1982 c’è un patrimonio enorme di conoscenze che, a mio avviso, non è mai stato approfondito completamente.

 

La Nazionale non andrà al Mondiale. È solo un mancato ricambio generazionale o il calcio italiano ha più gravi problemi strutturali?

Sicuramente c’è meno qualità rispetto al passato, ma ci sono anche problemi strutturali. Proprio per questa situazione di emergenza ci vogliono analisi appropriate e decisioni sagge. Non è certo un buon momento e non sarà facile uscirne. Siamo caduti, ma sono fiducioso: l’Italia potrà tornare a essere quella di sempre. È chiaro che poi passa tutto attraverso le qualità tecniche dei calciatori, aspetto nel quale oggi sembriamo soffrire.

 

Ha accennato al gruppo del Mondiale ’82: vi sentite ancora?

Le grandi gioie e i grandi dolori rendono forti e unite le persone. Con i ragazzi dell’82 abbiamo qualcosa che ci lega, ed è indissolubile. Anche se magari non ci sentiamo per tanto tempo, c’è sempre il pensiero per chi ha condiviso con te momenti straordinari.

 

VALERIO BARRETTA