“Quando torno a casa la sera da sola telefono sempre a qualcuno, se nessuno può rispondere faccio finta di chiamare”, racconta una ragazza sul treno delle 20 diretto da Cuneo a Torino. Non è tardi, ma fuori il sole è già calato. Ed è in quei momenti che la tranquillità del giorno lascia il posto al senso di paura. Soprattutto se sei una donna e sei da sola.
Secondo i dati Istat pubblicati nel rapporto Bes 2022, il senso di insicurezza delle donne – stabilmente maggiore rispetto a quello degli uomini – è peggiorato nel tempo. Cinque anni fa il 35,3% delle donne affermava di avere paura a uscire da sola la sera. Oggi quella percentuale è salita al 49%.
Nel 2021 è stata condotta dalla Cornell University, in collaborazione con l’associazione non-profit Hollaback!, la più grande analisi sulle molestie di strada in ventidue Paesi, tra cui l’Italia. Secondo i risultati, l’84% delle donne ha subito molestie in strada prima dei diciassette anni. L’82% ha dichiarato di aver preso una strada diversa per raggiungere la propria destinazione, il 71% di essere stata seguita, il 50% accarezzata o palpeggiata.
Un caso rappresentativo di questa realtà è stato quello di Sarah Everard, trentatreenne londinese rapita, stuprata e uccisa il 3 marzo 2021 da un agente di Scotland Yard mentre tornava a casa la sera nella zona della periferia sud della capitale. In risposta a episodi come questo, il 15 marzo è nata l’associazione Donnexstrada, grazie a un’idea della psicologa ventiseienne Laura De Dilectis, seguita poi da molte altre donne. Donnexstrada nasce perché, in attesa che avvenga la rivoluzione culturale a colpi di “P̶r̶o̶t̶e̶c̶t̶ ̶y̶o̶u̶r̶ ̶d̶a̶u̶g̶h̶t̶e̶r̶ Educate your son”, le donne sono state costrette a trovare soluzioni alternative per difendersi.
“Siamo quasi duecento associati tra professionisti, avvocati, psicologhe, nutrizionisti e ginecologhe”, dice Caterina Fantetti, consigliera dell’associazione. A chi ha bisogno di aiuto vengono assicurati supporto legale, psicologico, ginecologico e nutrizionale. Una delle attività più utilizzate è la diretta Instagram (o privata se la persona è minorenne), con cui accompagnano coloro che non si sentono sicure.
L’associazione agisce anche sul campo con il progetto “Punti viola”. Si tratta di un percorso di formazione all’interno di ristoranti, parrucchiere, bar, locali notturni, trasporti, per garantire al personale la capacità di fornire sostegno in caso di necessità. L’obiettivo è quello di creare presidi sul territorio per aiutare chi viene seguita o molestata in strada, ma anche per coloro che vivono situazioni di violenza quotidiana e cercano un luogo sicuro. Il progetto è in espansione, “a breve raggiungeremo i cento punti sparsi su tutto il territorio italiano”, continua Fantetti. Secondo i dati disponibili al 30 maggio, in Italia ci sono 98 punti viola. In Piemonte sono nove: quattro a Torino, due a Chivasso, uno a Biella, Santo Stefano Belbo e Borgomanero. Otto quelli a Milano, quattordici a Roma e dintorni. Nei capoluoghi del sud ce n’è uno per città, tranne Palermo e Napoli che ne hanno tre.
A Torino i punti viola sorgono in zona Quadrilatero, San Salvario e Centro. La prima attività ad aderire al progetto ormai due mesi fa è Simona e Giulia hair saloon, a pochi passi da Porta Palazzo. “Abbiamo seguito due corsi online, uno con la psicologa e uno con l’avvocata, per sapere come agire in maniera corretta nel caso in cui qualcuno si rivolga a noi”, dicono Simona Scalise e Giulia Gisario. “C’è molto bisogno di punti viola in questa zona, la sera quando vado alla macchina è un po’ inquietante”, commenta Scalise.
“Vogliamo essere un posto in cui le persone possano sentirsi davvero sicure, senza bisogno per forza di spiegare, ma sapendo che entrando qui dentro trovano un’amica – dice Myriam Lucci, titolare della cartoleria Lo Studente, diventata da qualche settimana punto viola -. Credo molto nella rete di persone e di negozi, sapere che le attività sono aperte all’accoglienza e attente all’altro secondo me è importante per cambiare questa situazione”.
Anche nel territorio fuori Torino sono presenti due punti viola: l’azienda agricola ‘Me na vira e l’associazione di promozione sociale Hope running asd. “Abbiamo deciso di diventare punto viola perché la nostra onlus sorge in periferia, dove camminare da sola fa più paura – dice Giovanni Mirabella di Hope running ads -. Dobbiamo comunicare alla gente che qualcosa insieme si può fare. Inoltre, dal 2018 ci occupiamo di fragilità e riteniamo che aggiungere competenze sia fondamentale”.
L’ultimo punto viola è il ristornate Eria – Cinque Petali, in Via S. Pio V. “Questa è una zona brutta la sera, anche se siamo fortunati perché ci sono i militari davanti alla sinagoga nella via”, dice la titolare. Spesso però, in particolare durante il weekend, il ristorante chiude dopo l’una e percorrere la strada verso casa non è sempre sicuro. “Abbiamo deciso di aderire a questo progetto perché una ragazza che abita qui una sera è stata seguita. Una delle mie dipendenti vive in via Ormea – a pochi minuti a piedi dal locale – ma ora per tornare a casa suo marito le viene incontro. Nonostante San Salvario sia migliorata molto nel corso degli anni, alcune strade continuano a fare davvero paura”.
I punti viola a Torino sorgono tipicamente in zone ritenute poco sicure da chi le frequenta per lavoro, eppure uno degli ultimi punti viola è situato in piazza San Carlo. Anche se le periferie delle grandi città sono note per essere zone meno tranquille perché poco frequentate, in realtà “non esistono luoghi sicuri – dice Francesca Grandin, Hr dell’azienda Mille Srl, che guida lo staff Costardi Bros nei progetti del Caffè San Carlo e del Ristorante Scatto -. Il problema della violenza c’è a prescindere da dove ti trovi. Spesso anche nei luoghi centrali, esclusivi o rinomati ci sono questo tipo di problemi, la differenza, forse, è che sono meno visibili”.