Le donne e la scienza sono un binomio vincente, che dovrebbe registrare dati molto più alti di quelli odierni. Ieri, 11 febbraio, si è celebrata la Giornata internazionale delle donne e delle ragazze nella scienza, proclamata dalle Nazioni Unite nel 2015 per l’accesso paritario delle donne alla scienza, l’uguaglianza di genere e le pari opportunità nella carriera scientifica.
A Torino ci sono 18 Dipartimenti universitari e fino al 2018 quelli più frequentati dalle ragazze restavano prettamente in ambito socio-umanistico. Più dell’80% dei ragazzi era iscritto a facoltà scientifiche come fisica e informatica, ma le percentuali differivano anche da disciplina a disciplina. Tra le materie Stem (Science, technology, engineering, mathematics), facevano eccezione, e probabilmente è ancora così, le scienze mediche, biotecnologiche e sociologiche con una presenza femminile vicina al 60%. Le ricercatrici a tempo determinato erano presenti in percentuale maggioritaria rispetto agli uomini solo in sei dipartimenti (tra cui scienze biologiche, neuroscienze, lingue, psicologia). Ben 15 erano gli indirizzi dove prevalevano gli uomini (tra cui matematica, fisica, chimica e ingegneria). Sono sotto i venti punti percentuali le professoresse ordinarie appartenenti a sei Dipartimenti, tutti scientifici.
“Le cose stanno cambiando ma con molta fatica, – afferma Daniela Paolotti, ricercatrice dell’istituto di ricerca di Torino “Isi Foundation“, laureata in fisica – io lavoro in un ambito di predominanza maschile, ma mi interfaccio con istituti di epidemiologia e di salute pubblica dove ci sono per lo più donne. Nel nostro centro la rappresentanza femminile molto ben bilanciata perché l’ambiente è interdisciplinare. Credo che attrarre le giovani generazioni di ragazze verso facoltà scientifiche sia ancora difficile. Inoltre, ai vertici lavorativi si soffre ancora del disequilibrio tra uomini e donne. Sarebbe utile un’educazione alle materie scientifiche nei confronti delle bambine già dalle scuole elementari. Bisognerebbe far capire loro quanto possano essere interessanti e non così complesse”.
Nel 2019 solo il 28 per cento dei ricercatori erano donne. I premi Nobel assegnati a una donna sono stati venti, tre per la fisica, cinque per la chimica e dodici per la medicina, a fronte dei ben 585 degli uomini. I dati dell’Unesco relativi al biennio 2014-2016 raccontano che solo il 30 per cento di tutte le studentesse a livello globale sceglieva discipline Stem ai livelli più alti della formazione, con una riduzione fino al tre per cento per materie come l’informatica.
A confermare la tendenza il report del Global Gender Gap Report realizzato dal World Economic Forum per studiare il divario di genere nel mondo. Per quanto i numeri evidenzino un miglioramento del rapporto tra donne e scienza, 108 sono ancora gli anni utili per raggiungere una totale parità economica e di opportunità. Troppi. Nel 2000 l’astrofisica e divulgatrice scientifica Margherita Hack raccontava che, in merito al contributo delle donne nella scienza, le ricercatrici universitarie superavano il 50%, con punte dell’80% nelle facoltà umanistiche, del 60% in quelle di scienze biologiche, più del 50% nelle matematiche, mentre erano ancora al di sotto dei 20% in facoltà come ingegneria e agraria. Dopo venti anni il percorso che unisce donne e scienza non è ancora terminato.