Un tema spesso sottovalutato, quello di cui si è parlato il 20 maggio al Salone del Libro di Torino: JRR Tolkien e la figura femminile. A pochi giorni dall’uscita di Beren e Lúthien, nuovo inedito tolkeniano a cura del figlio Christopher, una lectio magistralis tenuta da Roberto Arduini, presidente dell’Associazione Italiana Studi Tolkeniani, e da Wu Ming 4 ha chiamato a raccolta esperti, fanatici e amatori dell’autore inglese.
La tematica è una di quelle spesso licenziate con superficialità: le donne nel mondo di Tolkien sono poche, sono solo di corredo o sono personaggi passivi. È stata la ferrata e preparata esposizione di Wu Ming 4 a smontare questa tesi, con esempi pratici e rimandi letterari. La prima tesi è quella secondo cui “l’importanza di personaggi femminili nella letteratura di Tolkien è inversamente proporzionale al loro numero”. Perché quest’esiguità di femminile? Accantonando le motivazioni biografiche, storiche e di background che hanno poca rilevanza in questo dibattito, certo è che i modelli dell’autore sono quelli medievali, cavallereschi e nordici, che vedono una donna passiva, sottomessa e, se guerriera o padrona del suo destino, comunque destinata a morte o a essere raggirata dall’eroe maschile di turno. Esempi portati sono quelli di Pentesilea, dell’amazzone Camilla, di Brunilde, di Bradamante. Ma le opere di Tolkien, si sa, non sono mimetiche. Non sono fotocopie di vecchi poemi. “Tolkien muove da canoni medievali, li cita ma li modifica, non li ricalca e non li ripropone identici. Da anni difendiamo questo” assicurano Wu Ming e Arduini.
Prima di tutto, è fondamentale il tema della complementarietà: perché un personaggio della letteratura tolkeniana abbia successo e realizzi il suo scopo deve portare in sé quelli che letterariamente sono definiti i caratteri maschili di forza, coraggio e ingegno e quelli femminili quali saggezza, cura, riflessione. Deve avere entrambe le facce della medaglia: per questo i personaggi che hanno soffocato il proprio lato femminile fanno una brutta fine. Thingol, Fëanor, Thorin e Boromir ne sono esempi classici: il padre padrone, l’innamorato unicamente dell’opera della propria arte fino ad arrivare al fratricidio, il frutto perfetto del patriarcato e il nient’altro che guerriero. D’altro canto, Bilbo e Faramir sono personaggi che hanno abbracciato l’equilibrio tra maschile e femminile: il primo figlio di un padre “posapiano” e di una madre avventurosa, il secondo un guerriero dotato di attivo intelletto.
Diversamente le donne che dimostrano di aver trovato il proprio equilibrio e di essere padrone delle proprie scelte e del proprio destino: Galadriel, regina elfica che ha abbandonato il Paradiso per costruirsi un regno nella Terra di Mezzo e che rinuncia all’Anello del Potere per rimanere se stessa, Eowyn che sceglie di cavalcare in battaglia per amore del suo re e della sua terra e poi sceglie di rinunciare alle armi per diventare una guaritrice, il ragno Shelob che sceglie di rimanere indipendente dal grande villain della storia, Arwen che sceglie di combattere per amore e compiere il sacrificio supremo. Infine, il personaggio femminile per eccellenza, la protagonista della storia centrale e più amata da Tolkien: Lúthien. Una principessa che non aspetta il suo principe arroccata nella sua torre ma che si rende attiva e motore principale della storia, che scende negli Inferi (ruolo storicamente ricoperto dagli uomini: si veda alla voce Odisseo, Orfeo, Dante) e che sceglie il proprio destino – e senza mai rinunciare al proprio essere donna. Un’eroina che scende in campo senza scimmiottare gli uomini ma rivendicando la propria appartenenza di genere.