Servono i tablet, mancano i tablet, si consegnano i tablet, si fotografano i tablet. Ma non è questo il punto, secondo i componenti dell’Équipe formativa territoriale del Piemonte, istituita per sostenere il Piano Nazionale Scuola Digitale: lo strumento non basta se manca la connessione o le competenze per usarlo.
Gli otto membri del gruppo piemontese sono tra i 120 che sono stati selezionati a livello nazionale dal Ministero per entrare a far parte delle équipe delle varie regioni. Hanno anche provato a dare una loro soluzione ai problemi dell’insegnamento telematico che dipende solo dalla rete: così è nato il progetto Scuola in Onda.
“Il tablet va bene ma non risolve il problema: non garantisce le stesse prestazioni di un computer, che sono necessarie per proporre una didattica completa e più efficace per i ragazzi”, spiega Maria Rosa Rechichi, docente dell’Istituto Comprensivo Niccolò Tommaseo di Torino. “Quello che è necessario davvero è la connessione per tutti, altrimenti è come avere una macchina senza la strada”.
Un altro aspetto critico è la mancanza di omogeneità: “A livello nazionale, così come da noi, la situazione è a macchia di leopardo – aggiunge Simonetta Siega, insegnante del Secondo circolo didattico Domodossola -: ci sono scuole avanzatissime a livello tecnologico, mentre altre a causa dell’emergenza si sono trovate a dover imbastire in poche settimane la formazione a distanza”.
Nei due mesi precedenti sono stati effettuati due monitoraggi da parte di Ministero e Ufficio Scolastico Regionale (Usr), ma, secondo gli esperti, non centrano il problema: “L’indagine è stata effettuata sulla situazione delle scuole ma la vera questione da indagare per capire se funziona la didattica a distanza sono le connessioni e i dispositivi degli studenti”, afferma Catia Santini, che insegna inglese al liceo torinese “Giordano Bruno”. “Inoltre la domanda generica se abbiano attivato o meno la didattica a distanza non approfondisce se tutti gli insegnanti e le classi siano coinvolte e in che modo”.
Il report dell’Usr è disponibile online, quello del Ministero per il momento non è stato diffuso. Anche l’Équipe formativa territoriale ha proposto un questionario sintetico agli insegnanti: “Il nostro sondaggio, che chi lo desidera sta compilando, non avrà valenza statistica: sarà utile a noi per avere alcune indicazioni su come sta andando l’esperienza con la scuola a distanza”, precisa Anna Nervo, insegnante del Centro Provinciale Istruzione Adulti 2 di Cuneo. “In base a quanto emerso dalle risposte ottenute finora da animatori e dirigenti scolastici, si capisce che la maggior parte delle scuole ha aderito alla proposta del Ministero di usare alcune piattaforme. In particolare molti hanno scelto la G Suite di Google, che è gratuita e semplice da usare; non è comunque detto che una volta adottata questa sia usata in modo efficace e corretto”.
Spesso sono gli studenti stessi a preferire il mobile: “I dirigenti ci segnalano che la maggior parte degli studenti delle scuole superiori dispone di un computer, che spesso deve condividere con i genitori o i fratelli, ma in generale preferisce usare lo smartphone”, sottolinea Santini. “Spesso, però, mancano di competenze digitali come l’uso di programmi per la creazione di presentazioni, la condivisione di documenti o il lavoro su materiali condivisi”. Ma non è questo il problema principale: “Molti studenti hanno la connessione grazie al cellulare: abbiamo verificato che in prossimità della scadenza del contratto i ragazzi si assentano dalle lezioni per risparmiare banda, altrimenti rischiano di trovarsi tagliati fuori dalle relazioni sociali”.
Se l’unica connessione è quella del telefono di un genitore, con la ripresa potrebbe andare ancora peggio: “Tanti studenti fanno l’hotspot con lo smartphone di un genitore. Posso immaginare cosa succederà ora che gran parte dei papà e delle mamme torneranno al lavoro e se lo porteranno via”, afferma Andrea Goia, insegnante del laboratorio di informatica del Pininfarina di Moncalieri. “Per sostenere la didattica a distanza noi abbiamo ripiegato sull’implementazione di dati cellulare per i genitori, dove poteva essere utile, oppure proponendo l’acquisto di altre Sim, ma le scuole e le famiglie sono lasciate a loro stesse nel confronto con le grandi aziende telefoniche che inizialmente hanno offerto agevolazioni, poi sono tornate ai regimi normali. Il Ministero avrebbe dovuto contrattare a livello nazionale le tariffe, soprattutto per le famiglie del primo e del secondo ciclo”.
Il progetto Scuola in Onda
Da queste necessità e problematiche è nata l’idea del progetto Scuola In Onda, che per la didattica a distanza usa la radiomodulazione di frequenza: “Abbiamo cercato di scrivere in tempi rapidi un progetto insieme all’Usr. Siamo partiti il 24 marzo con la prima trasmissione: ogni scuola ha i propri orari e le proprie modalità, anche perché siamo ospiti delle radio locali, ma nel giro di poco tempo il modello si è diffuso”, dichiara Andrea Piccione, che insegna fisica e ottica all’istituto professionale “Plana” di Torino.
Attualmente sono coinvolte dieci emittenti in tutto il Piemonte, la scorsa settimana la formazione via radio è partita anche nel carcere di Torino. I vantaggi sono numerosi: non serve la connessione a Internet, che non manca solo per questioni di giga ma anche geografiche; in ogni caso non sovraccarica la rete, che in queste settimane è particolarmente sollecitata. I bambini possono ascoltare i programmi anche mentre i genitori lavorano, e in prospettiva di didattica in alternanza tra classe e casa, per i nonni che si troveranno ad assistere i bambini è di solito più gestibile rispetto a computer o tablet. Non è tutto: la radio è ancora lo strumento più flessibile e inclusivo. Il programma radiofonico diventa occasione per affinare le capacità di ascolto dei bambini, per consentire un momento di distacco dagli schermi che in questo periodo domando le nostre giornate. Lo strumento viene riscoperto dai grandi e scoperto dai bambini, con una ritorno alle dediche e ai messaggi per compagni e insegnanti. “La didattica a distanza sul web sta ampliando e mettendo in evidenza le differenze sociali, culturali e di possibilità economiche in modo anche drammatico: ci sono studenti che dopo quasi due mesi non sono ancora riusciti a entrare in una video lezione”, commenta Enrico Gallotto, docente di musica dell’Istituto comprensivo “Ilaria Alpi”, in Barriera di Milano: “La radio è un altro paio di maniche: tutte le famiglie la ascoltano, anche quelle straniere che in una zona come quella dove insegno io, a cavallo tra la sesta e la settima circoscrizione, sono molto numerose”.