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“Dietro le braccia ci sono persone”, lo sciopero dei migranti nelle campagne italiane

Da nord a sud, dalle campagne della Puglia a quelle del Piemonte, il 21 maggio scorso i braccianti di tutta Italia hanno protestato con uno sciopero contro le misure per la regolarizzazione previste nel prossimo decreto “Rilancio“. Seppur salutata da molti come un passo in avanti contro lo sfruttamento nei campi e il caporalato, questa regolarizzazione ha lasciato l’amaro in bocca ai lavoratori direttamente interessati. Anche i braccianti migranti lavoratori in Piemonte, come quelli di Foggia, hanno manifestato, il 21 maggio, davanti al palazzo regionale di Torino.

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Il sindacalista Patrick Konde (Usb – Unione Sindacale di Base di Torino) fa notare le poche differenze che separano la regione piemontese dalla situazione in Puglia. “Non siamo distanti dalla Puglia. Forse ci sono meno ghetti che in Puglia o a Rosarno. La caserma di Saluzzo, messa a disposizione dal Comune, non è bastata ad accogliere tutti i lavoratori. Così sono sorte le baracche di cartone e lamiere, senza acqua, assistenza sanitaria o servizi. È sempre la stessa storia: finita la stagione di raccolta, il Comune fa la pulizia di tutto come se non fosse accaduto nulla. Abbiamo persone nei ghetti che fanno fatica a reperire cibo. Se non hai la residenza non puoi neanche rinnovare il permesso di soggiorno e avere un medico di base. Ricordo inoltre che in Piemonte c’è il caporalato, c’è lavoro sommerso, non c’è rispetto dei diritti sindacali”.

Konde dice che la proposta della ministra Bellanova non è sufficiente e discriminatoria, non differente dalla legge Bossi-Fini che legava il permesso di soggiorno al lavoro. L’attuale governo non ha risolto il processo di integrazione di questi lavoratori nella società.

“Noi chiediamo di regolarizzare tutti i migranti, chiediamo il permesso di soggiorno convertibile in permesso di lavoro. Chiediamo che i lavoratori siano pagati con contratto nazionale. Così possiamo combattere sommerso e caporalato. Attualmente non c’è un processo di reclutamento che passa dai centri per l’impiego. Non c’è rispetto del contratto. Alcuni lavoratori ottengono un contratto per pochi giorni e poi li fanno lavorare in nero per più mesi. Chiediamo che i lavoratori possano vivere nelle case e non come a Foggia dove ci sono 4 mila persone in schiavitù, come nell’apartheid, fuori dalle città e senza assistenza sanitaria in un momento di grave pandemia. Chiediamo il permesso di soggiorno per tutti, che permetta loro di iscriversi all’anagrafe e ricevere l’assistenza di un medico di base”.

 

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Le battaglie di Konde, al fianco di Aboubakar Soumahoro, durano da anni. Sono sempre le stesse, con l’aggravante della situazione sanitaria in atto. “Nelle campagne marciscono i diritti dei lavoratori, non le verdure. Il governo ha deciso di occuparsi delle braccia e non delle persone. Si preoccupa solo della verdura che rischia di rimanere nei campi e non dei diritti dei lavoratori invisibili. La retorica del governo è sempre la stessa: mi servi e ti regolarizzo, perché ho bisogno di manodopera. Ma dietro le braccia ci sono le persone. Persone che aspettano i diritti. Persone ricattabili a usa e getta. Tenute sotto scatto da un permesso di soggiorno stagionale”.

“L’agricoltura – fa notare Konde – è un settore lautamente finanziato da sostegni pubblici e non può essere sinonimo di lavoro sottopagato. Non si può continuare a finanziare un settore così. I consumatori sono complici, altrimenti devono capire da dove proviene il prodotto che mangiamo e in che condizioni viene raccolto. Non bisognerebbe comprare frutta anche per solidarietà verso queste persone sfruttate in campagna. I piccoli produttori sono costretti a dare lavoro a certe condizioni, mentre le multinazionali sono favorite. La grande distribuzione compra e bassi prezzi e non punta sulla qualità. Mentre i lavoratori sono schiavi che devono lavorare solo come robot. La stessa situazione riguarda i riders che consegnano pizze per conto delle grandi imprese”.

Il sindacalista Konde parla di una narrazione delle destre insensata: “Dire ‘Prima gli italiani’ non significa nulla. Questo è un lavoro pesante. Chi lo fa per 4 euro? Per questo bisogna andare alla radice del problema e c’è mancanza di volontà politica nel cambiare le cose”.

FRANCESCA SORRENTINO

NICOLA TEOFILO