“DeWest è un canto all’ombra, quella interiore che a volte ci attraversa e quella creata dal sole a picco”. Così Luca Morino, cantante e scrittore torinese, già membro dei Loschi Dezi e voce inconfondibile dei Mau Mau, da trent’anni protagonista della scena musicale cittadina, spiega il significato del suo ultimo album. Un inno al selvaggio in cui chitarre elettriche e sonorità gregoriane si incontrano sulle rive di un Tanaro “che appare e scompare, torbido come un pomeriggio d’agosto”. È lì, nell’Alta Langa selvatica e di confine, che l’Ovest di Sergio Leone e Werner Herzog sembra riprendere vita. Così, dopo il western metafisico Abel di Alessandro Baricco, c’è un altro torinese che ha sentito l’esigenza di cantare le terre selvagge, che è poi anche un pretesto per cantare lo spirito.
Morino, in questo disco ci sono i suoni della natura, il piemontese, qualcosa che ricorda Lana Del Rey e i canti gregoriani. La contaminazione è ancora la cifra della sua musica?
“Beh, io sono anche un appassionato ascoltatore. A seconda dei periodi della vita e dei momenti del giorno ascolto anche ossessivamente cose diverse. Non per forza questi ascolti finiscono poi direttamente nella musica che faccio, però la influenzano”.
Per esempio?
“C’è un brano che si intitola Terralta in cui ci sono cori che ricordano il canto gregoriano. Altri suoni richiamano i primi album dei Pink Floyd e ci sono “certi chitarroni” che si trovano anche in Lana Del Rey, artista che amo molto ma che è ovviamente abbastanza distante da quello che faccio”.
Le prime idee per questo disco sono venute durante il Covid. È un’ombra personale, quella attraversata, o collettiva?
“Ci sono semplicemente stati momenti dal punto di vista emotivo più vicini a certe sonorità, forse addirittura ne sono stati il motore. L’ombra e i soli a picco sono ciò da cui scaturiscono le emozioni e vengono anche dalla conformazione dei paesaggi citati: l’Alta Langa. A volte c’è un sole che dà alla testa, ma c’è sempre da qualche parte un lato scuro, e non oscuro”.
Una terra di frontiera?
“Una terra che porta con sé quel passaggio tra il Sud del Piemonte, con le sue colline, al mare della Liguria. Mi interessa molto la situazione di “solitarietà” (che è diversa dalla solitudine, ndr) di questi luoghi poco conosciuti, senza molti passaggi di persone e automobili”.
La frequenta?
“Ci vado per scrivere, ma anche per mangiare e vedere amici. Per me ha un carattere solitario e incontaminato. È un po’ come una finestra verso un altro mondo che poi fa parte di te. Sei tu che, trovandoti in uno spazio così aperto, hai la possibilità di riempirlo…”
C’è anche un omaggio a Paola Ghiglia, la signora del Dancing Paradiso scomparsa l’estate scorsa.
“L’ho intervistata qualche anno fa, è stato molto toccante. Avevo in mente di dedicare un pezzo a questa storia, alla fine ho deciso di inserire anche la sua voce”.
Morino, lei frequenta la scena musicale torinese da trent’anni. Com’è cambiata?
“Credo sia cambiata la consapevolezza. Negli Anni ’80 anche se non si sapeva suonare un granché ci si trovava in una cantina e poi qualcosa veniva fuori. Adesso chi decide di suonare ha un livello di formazione molto più alto. Per contro, non ci sono più l’entusiasmo e la curiosità di un tempo intorno alla musica indipendente”.
Tatè Nsongan, Giorgio Boffa, Vito Miccolis. Nel suo progetto personale ha coinvolto tanti artisti. È più difficile oggi collaborare?
“Direi di no, c’è sempre una sorta di rispetto tra musicisti, a maggior ragione quando ci sono consolidate amicizie umane e musicali. Non è un caso che in DeWest siano intervenuti Gianluca Senatore e Paolo Parpaglione, due musicisti con cui ho cominciato a suonare nei Loschi Dezi alla fine degli Anni ’80”.
Un disco, un vinile. Quando un concerto?
“Sto lavorando all’uscita del vinile, che anche dal punto di vista tattile e materiale dà un’altra dimensione di ascolto e di partecipazione al progetto artistico. Uscirà in contemporanea con il primo concerto in programma: il 10 maggio al Bunker, nell’ambito del Salone Off”.