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Depeche Mode a Torino: va in scena il rito

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L’hanno chiamato in molti modi: cerimonia messianica, celebrazione rock, messa laica. Un concerto dei Depeche Mode è un rito contemporaneo, una funzione musicale che, per l’ennesima volta, ieri sera, 11 dicembre, al Pala Alpitour di Torino ha riunito gli accoliti della band di Basildon in un caldo abbraccio elettronico.

Non si tratta, però, di un rito esoterico, perché chi vi partecipa per la prima volta non fa certo fatica a lasciarsi trascinare dentro il ritmo da Dave Gahan, che benedice il pubblico con classe e sensualità. I fedeli del culto dei Depeche Mode si uniscono a chi per la prima volta passa da queste parti e nota la porta della chiesa aperta, da cui esce un martellante fascio di luce blu e viola.

Depeche Mode
Il concerto al PalaAlpitour (foto David Trangoni)

Il tour promozionale di “Spirit”, 14° album in studio, è soltanto il pretesto per tornare a recitare “I feel you”, “Enjoy the silence” ed “Everything counts”, le preghiere della tradizione, accanto agli ultimi successi “Going backwards” e “Where’s the revolution”. Brani che evocano una religiosità mistica ma non certo casta, fatta di corpi che si cercano e si trasformano. Brani che suonano come inni rivoluzionari, con riferimenti sempre più pressanti alla tumultuosa realtà sociale e politica che viviamo tutti i giorni.

I sacerdoti si presentano sull’altare per la loro “Black celebration” con il peso di una carriera che non ha più niente da chiedere, ma tantissimo da dare. Scuote l’animo la capacità dei tre di rinnovare la sacralità delle loro esibizioni a ogni tour. Rivivono canzoni irrinunciabili come “Barrel of a gun” – che rimane in scaletta come monito della caduta e rinascita del cantante – in un gigantesco dj set che tiene insieme generi diversi e diversi gusti musicali: da brani glam rock che virano sulla tecno grazie alle mani di Andy Fletcher, a ballate struggenti come Home, cantata a mezza voce da Martin Gore.

A sentire i Depeche Mode ci sono tutti: reduci degli anni ‘80, matricole dell’università, giovani coppie con i figli piccoli, signori in giacca e cravatta, compagnie di amici venuti da lontano. Si potrebbe pensare che non possono veramente piacere a tutti. E invece sì. Una loro canzone prima o poi ti raggiunge, come un verso del testo sacro.

Come ogni rito, anche questo ha la sua liturgia, fatta di cori spontanei e di camminate sulla passerella in mezzo alla gente, di ritornelli urlati a squarciagola e di gesti ambigui con l’asta del microfono del “Personal Jesus” incarnato sul palco. Gesti da ripetere e da conoscere. Non tutti sono preparati per la cerimonia, ma non importa. Tanto ci si diverte lo stesso.

DAVID TRANGONI