“La cosa che mi ha aiutato di più, in questi anni all’estero, è credere nel mio mestiere e farlo con entusiasmo”. Valori saldi, per tenere la barra dritta e restare lucidi. Così Marta Ottaviani, giornalista freelance che da 15 anni si occupa di Turchia, introduce la propria esperienza, condivisa con gli studenti del Master e un’altra sessantina di colleghi nell’incontro di formazione “Liberi tutti”, organizzato in collaborazione con l’Ordine dei Giornalisti del Piemonte in vista della Giornata internazionale della libertà di stampa, che si celebra il 3 maggio di ogni anno. “Quando sono arrivata avevo 28 anni e la situazione era solo parzialmente diversa da quella di oggi”, spiega. “Al contrario di ciò che si sperava, il Paese ha subìto un’involuzione autoritaria dall’avvento della presidenza di Recep Tayyip Erdoğan, nel 2014, per quanto anche prima la democrazia avesse molti problemi, conseguenza di una storia dolorosa e segnata da numerosi colpi di stato”.
I giornalisti che operano in Turchia non scelgono liberamente i temi delle loro inchieste e vivono una condizione di forti limitazioni nell’esercizio della professione: “Ci sono alcune questioni tabù”, continua Ottaviani, “come la questione dei curdi, che continuano a essere minoranza perseguitata, oppure il genocidio armeno, ma anche la corruzione dell’entourage di Erdoğan e le operazioni militari nel nord della Siria”. Una patina di censura ricopre questi argomenti e determina grande superficialità nel modo in cui vengono trattati, anche a livello scolastico. L’informazione è condizionata da limitazioni dirette e indirette, che hanno causato la chiusura di 139 quotidiani negli ultimi cinque anni. “I contenuti dei giornali sono estremamente ‘leggeri’ e questo accade dal 1960, quando i militari che presero il potere dopo il golpe stabilirono che le persone non dovessero interessarsi alla politica”: la de-informazione è una scelta precisa, che ha conseguenze devastanti sulla mentalità di un popolo. “Oggi c’è una sostanziale sovrapposizione di contenuti tra un quotidiano e l’altro, per cui può capitare che due o più giornali escano contemporaneamente con lo stesso titolo e la stessa foto. Comprarne uno equivale a leggerli tutti”. Argomenti poco diversificati e inchieste da tabloid, per restringere i margini d’azione di ogni forma di opposizione: “La Turchia di oggi pubblica due soli giornali non filo-presidenziali, che insieme tirano 80mila copie, su una popolazione di 85 milioni di abitanti, praticamente nulla”.
Le parole di Marta Ottaviani fotografano una situazione inquietante e lasciano intuire che la Turchia si allontana sempre di più dai valori dell’Unione Europea, dove sembrava avere qualche possibilità di entrare, almeno prima degli scivoloni degli ultimi anni. “Se anche Erdoğan perdesse il potere, sarà difficile che il Paese torni a essere una democrazia come la intendiamo noi: ci sono troppe questioni irrisolte, prima fra tutte la mentalità delle persone, quest’ondata di nazionalismo 2.0 che dilaga e avrà conseguenze sul futuro”, aggiunge. “Quando mi sento dire che la Turchia è un regime autoritario ma non una dittatura, rimango perplessa: non bisogna fare l’errore di pensare che la dittatura di oggi sia paragonabile a quelle del passato. Ciò che sta accadendo è molto più subdolo e sottotraccia, proprio per questo preoccupa”, conclude.
L’intervento di Marta Ottaviani è un reportage dall’estero sul tema della libertà di stampa e sulle minacce a cui è sottoposta, anche nella “democratica” Turchia. “Ma non basta che si voti per autoproclamarsi democrazia”, riprende il discorso Francesco Tuccari, docente di storia delle dottrine politiche all’Università di Torino, secondo ospite della giornata. Dopo aver ribadito che la libertà di stampa non è una questione d’interesse solo giornalistico, ma uno dei fondamenti della civiltà liberale e democratica in cui viviamo, e che è quindi diritto e dovere di tutti tutelarla sempre, il professore osserva le mappe di Freedom House, l’organizzazione non governativa internazionale che conduce attività di ricerca e sensibilizzazione su democrazia, libertà politiche e diritti umani. Per definire lo stato di salute delle democrazie nel mondo, i report di Freedom House considerano vari indicatori, tra cui proprio la libertà di stampa: da 15 anni a questa parte i sistemi autoritari o semi-autoritari stanno avanzando pericolosamente. “I problemi sono evidenti e colpiscono anche l’Italia, dove il pluralismo di opinioni si sta riducendo sempre di più, a causa dell’omologazione del pensiero televisivo e della rete, che minaccia il valore della mediazione giornalistica e rende difficile capire cosa è verità e cosa non lo è”.
Bersagliato da più parti, il giornalismo tenta di difendere la propria autonomia e il proprio ruolo, ricordando (non solo il 3 maggio) che democrazia e libertà di stampa – due concetti che viaggiano a braccetto – non vanno date per scontate: “Spesso le trattiamo come diritti acquisiti”, riflette Alberto Sinigaglia, Presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Piemonte, “ma dobbiamo esserne noi i garanti, riportando l’onestà all’apice dei valori cui ci ispiriamo, ogni giorno, per fare questo mestiere”.