«Si chiamano dati, ma in realtà vengono presi.» Partendo dall’etimologia latina, Geoff Mulgan, CEO Nesta, inquadra perfettamente il tema centrale del Decode Symposium “Our Data, Our Future. Radical Tech for a Democratic Digital Society”. Il progetto Decode, che coinvolge 14 partner in sei diversi paesi dell’Unione Europea, si propone infatti di restituire la sovranità dei dati agli utenti, rispondendo a una preoccupazione crescente delle persone legata alla perdita di controllo sulle proprie informazioni personali in rete.
La principale minaccia è rappresentata dalle grandi piattaforme digitali, che assumono ruoli monopolistici nel controllo e nella gestione dei dati. Quei Big Tech al centro di gran parte dei panel sul main stage della Centrale – Nuvola Lavazza di Torino. Quei Big Tech che «infrangono un sacco di regole», come ha sottolineato il professore di Economia Tommaso Valletti. Quei Big Tech che, dalla Silicon Valley si spartiscono il mondo. Digitale e non solo. Quei Big Tech che sono depositari delle informazioni che produciamo e distribuiamo, spesso inconsapevolmente, in rete.
Big Tech che, assieme a Big Money e Big State, «rappresentano i pilastri del sistema globale – come ha sottolineato dal palco Evgeny Morozov –. I tre Big rappresentano i nemici contro cui combattere: è necessario agire con intelligenza e a livello politico, non solo in termini di innovazione, se vogliamo vincere questa battaglia.»
E tra i Big State, deve essere annoverato il governo cinese, che esercita un controllo monopolistico e totalitario sui dati dei suoi cittadini. E non solo.
In mezzo l’Europa. A cui si chiede di provare a trovare una soluzione. Anche perché, se sul versante tecnologico è rimasta indietro, sul piano etico e regolamentare è un punto di riferimento a livello internazionale. Il GDPR, il regolamento europeo per la privacy, ha saputo mettere al centro del dibattito la forza, il ruolo commerciale e il dilemma etico dei dati personali condivisi dagli utenti sulle piattaforme digitali. È arrivato il momento di fare un ulteriore passo. Ma per riuscirci, bisogna coinvolgere le persone, i cittadini, come ha ribadito l’artista, hacker e attivista Denis “Jaromil” Roio, con la sua Dyne.org uno dei partner del progetto Decode.
Soprattutto, bisogna investire in alternative tecnologiche controllate democraticamente.
Algoritmi e big data possono e dovrebbero essere utilizzati per servire i cittadini e migliorare i servizi pubblici – ha spiegato Francesca Bria, fondatrice di Decode –. Le principali piattaforme digitali, oggi, hanno come modello di business la sorveglianza dei cittadini e la mercificazione delle informazioni personali. Bisogna rompere questi monopoli digitali e investire in alternative tecnologiche.
E torna di nuovo il potenziale ruolo dell’Europa: Bruxelles dovrebbe puntare a realizzare una piattaforma digitale comunitaria, pensata per permettere ai cittadini europei di condividere in sicurezza i propri dati personali e informazioni di pubblico interesse. Partendo dai risultati del progetto Decode e dal modello Barcellona.
Le sperimentazioni di Barcellona e Amsterdam
A Barcellona sono due le sperimentazioni in atto del progetto Decode: una riguarda democrazia digitale e data commons, l’altra è relativa alla governance cittadina dei dati raccolti dai sensori IoT.
Nel raccontare il progetto pilota in tema di democrazia digitale, Antonio Calleja Lopez, membro del team Decode, spiega che si poggia su tre elementi chiave: «Il primo è l’applicazione mobile Decode, che garantisce elevati standard di sicurezza ed è interoperabile con Decidim, piattaforma di democrazia partecipativa della città di Barcellona. La tecnologia blockchain garantisce poi trasparenza al processo partecipativo su Decidim e infine una dashboard permette agli utenti di vedere quali dati condividono e come vengono utilizzati.» Al momento viene usata solo per sostenere petizioni online proposte dai cittadini, attraverso un meccanismo di firma anonima, ma potrà essere estesa ad altre modalità di consultazione e coinvolgimento dei cittadini da parte della pubblica amministrazione. Altro esmpio interessante è legato all’utilizzo di sensori IoT. I cittadini possono installare nelle proprie case dei sensori in grado di misurare inquinamento, temperature, umidità. I dati generati vengono condivisi in totale anonimato, grazie alle tecnologie implementate da Decode. Per la gioia di Bruce Sterling che, già nel 2014, con il saggio “The Epic Struggle of the Internet of Things”, metteva in guardia dall’IoT, che nella visione dei Big Tech non mira tanto a migliorare i servizi per l’utente, quanto a controllarlo e raccogliere dati.
Un altro esperimento interessante è quello lanciato da Decode in Olanda: il Passport Box. Si tratta di un progetto di identificazione digitale che permette di archiviare sul proprio smartphone dati crittografati, acquisiti dal chip del passaporto scannerizzato grazie a una magic-box. Questo permette di condividere alcuni dati personali attraverso l’uso di un QR code, senza dover mostrare il documento con nome, cognome e indirizzo. Svelando sul palco la magic-box, Aik van Eemeren, Chief Technology Office Amsterdam, ha chiesto: «Perché dovrei fidarmi di questa scatola e non di Facebook? Perché è rossa, luminosa e bella? L’abbiamo presentata in strada, andando incontro alle persone, ci abbiamo messo la faccia e questo ci ha aiutato. E poi la scatola è tangibile, crea un punto di contatto, un elemento da cui partire per affrontare la questione più complessa della sovranità dei dati.»
Democratizzare l’economia della conoscenza ai tempi dell’emergenza climatica
Nel titolo della seconda giornata di Decode sono racchiuse le sfide per il futuro, da affrontare partendo dagli strumenti analizzati durante il primo giorno: blockchain, tecnologie di contabilità distribuite e un tocco di creatività, a cui ha contribuito un panel di artisti, chiamati a immaginare un futuro digitale incentrato sull’uomo. «Quando si parla di dati, si rischia di risultare astratti – ha ammonito la musicista Holly Herndon, che ha da poco pubblicato Proto, in cui duetta con un’Intelligenza Artificiale –. L’arte, la musica possono aiutare a dare forma all’argomento, a tradurlo per un pubblico più ampio.»
E sul ruolo dell’arte è tornato Brian Eno, protagonista di un talk particolarmente ispirato, che lo ha visto duettare con Ann Pettifor, Director, Policy Research in Macroeconomics (PRIME).
L’economista Britannica ha indicato quella che ritiene la migliore risposta al problema: un Green New Deal. «Fino ad ora i movimenti ambientalisti hanno perlato di cambiamento dei comportamenti, riuso, riciclaggio, il Green New Deal ha a che fare con un cambiamento strutturale.»
E un esempio concreto di cambio di paradigma in ambito ambientale, lo porta Brian Eno, raccontando dell’associazione ClientEarth di cui fa parte, recentemente contatta dal Governo cinese per aiutarlo a risolvere i gravi problemi legati all’inquinamento. Ma a restare sospese a lungo nell’aria della Nuvola Lavazza, sono poche parole del compositore britannico: «Quello che ci sta uccidendo è la convenienza…» O quella che ci sembra tale, dimenticando troppo spesso che “Se non paghi un prodotto, allora il prodotto sei tu”. Ecco perché la Pettifor suggerisce di dubitare e boicottare quello che sembra troppo conveniente. Ed il suo interlocutore rincara: «Io boicotto tutto, boicotto anche Brian Eno.»
Il futuro di Decode
«Decode sta arrivando al termine, era un progetto triennale e per noi è stato molto importante – ha ricordato Olivier Bringer della Commissione Europea –. Ci aspettiamo però che il lavoro continui, che le tecnologie adottate continuino ad essere sviluppate e in questo senso è molto importante aver usato un approccio open source. Adesso la grande sfida è far sì che queste tecnologie vengano adottato da diversi comuni in Europa, da organizzazioni pubbliche e private.» E questo è l’obiettivo di Francesca Bria, anima e motore di Decode: «Questo progetto deve scalare a livello europeo, in questo modo potrà essere usato da città, pubbliche amministrazioni, imprese e startup. Questa tecnologia può diventare un fattore abilitante per creare un ecosistema in cui i soggetti interessati possano costruire sull’infrastruttura di Decode, servizi data-driven in grado di combattere il cambiamento climatico, migliorare la mobilità e l’assistenza sanitaria, creare nuovi strumenti educativi. Solo così potremo creare un’infrastruttura europea incentrata sulla sovranità dei dati, con la possibilità di inserire le regole del GDPR all’interno dell’architettura, e usando strumenti open source al fine di facilitarne la replicabilità.»
Sfida avvincente e complessa, ma c’è chi è pronto a raccoglierla, come ha racchiuso molto bene in un tweet Aik van Eemeren
Bibliografia / sitografia consigliata
In coda all’evento torinese, Francesca Bria ed Evgeny Morozov hanno stilato una lista di letture consigliate per continuare ad approfondire i temi affrontati al Decode Symposium 2019
LUCA INDEMINI