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De Andrè, 600 persone per omaggiare Fabrizio il poeta

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Salone Internazionale del Libro: incontri, pagine e qualche volta attese.  Erano quasi le 16 ieri, venerdì 11 maggio, e la fila per entrare in sala gialla sembrava lunghissima. Mezz’ora di ritardo ma nessuno ha desistito, seicento persone hanno atteso il turno per entrare. Non si trattava solo della presentazione di un libro. “Lui, io, noi” era il pretesto per sentir parlare di Fabrizio De Andrè, per ascoltare gli aneddoti di Faber raccontati da Dori Ghezzi, autrice del volume insieme a Giordano Meacci e Francesca Serafini, Gabriele Salvatores e Roberto Vecchioni. Il silenzio in sala è calato in un secondo.

Il primo a parlare è stato Gabriele Salvatores, regista e sceneggiatore pluripremiato. “Fabrizio è uno di quegli angeli custodi che mi hanno seguito fino a qui, portandomi a fare il mestiere che oggi conoscete e spero apprezziate”. Ha parlato con una punta di commozione, ricordando quell’uomo che è stato “una specie di pifferaio magico” in grado di “tirarsi dietro un po’ tutti, una generazione di persone che grazie la a lui crede ancora che dai diamanti non nasca niente ma dal letame nascano i fior”.

Roberto Vecchioni, cantautore e grande amico di De Andrè, ha preso la parola per secondo. “Fabrizio? Aveva dubbi persino su se stesso. Ma è quello che fanno un po’ tutti i poeti, dubitano di se stessi. Un artista è sempre sopra le righe: esalta e idealizza tutto. Nelle metafore tenta di trovare l’oro, l’argento, il platino”. Non si deve cercare un poeta che scriva perfettamente la verità che ha dentro: sarebbe un’altra storia. “Fabrizio De Andrè è la più grande ingiustizia culturale del 900 perché più di tutti meritava il premio Nobel. Era un poeta, un artista inarrivabile. Se tutti i poeti fossero tangibili” ha proseguito “la lirica non sarebbe lirica. La poesia è sentire, non capire. Allo stesso modo non si può comprendere l’amore tra Fabrizio e Dori. Lui mi diceva sempre di scrivere canzoni perchè Dori lo faceva arrabbiare ma non cercate il loro amore nelle canzoni, non lo troverete. Fabrizio era riservatissimo e non ha mai voluto mettere in mezzo Dori perché era un gentiluomo e ancora prima un uomo”. Gli aneddoti non sono finiti qui. Sorridendo, Vecchioni ha raccontato di quella volta che De Andrè e Ghezzi andarono a mangiare a casa sua. “Era finito il whiskey. Inutile dirvi che a me è Fabrizio piaceva piuttosto bere”. Dal pubblico si è levata una gran risata. “Siamo usciti e abbiamo deciso di fare un gioco: metterci su una panchina e vedere se la gente avrebbe risconosciuto più lui o me. Non ci riconobbe nessuno”.

La più emozionata era Dori Ghezzi. É stata l’ultima a parlare con la solita riservatezza che la contraddistingue. “Sappiate che non c’è tutto di me e Fabrizio in questo libro. Credo sia giusto che esistano due vite parallele: una pubblica e una privata. È questo che crea la magia, che stimola la curiosità. Non è importante se alla fine dei conti esistano entrambi i lati di una persona. Si tratta solo di un gioco delle parti”. Ha fatto una piccola pausa e si è ricolta direttamente al pubblico. “La morte di Fabrizio, certi dolori in generale non si superano. Se sono stata meglio è grazie a tutti voi. C’è un noi nel titolo del libro, un noi perché in questo volume, in queste pagine ci siamo tutti, ci siete anche voi”.

Per omaggiare Faber, l’incontro si è concluso con “Hotel Supramonte” e “Canzone dell’amore perduto” interpretate da Vecchioni.

MARTINA MEOLI