Ascoltarlo significa essere consapevoli di intraprendere un viaggio, e di farlo in piena libertà senza indicazioni. Niente testi, infatti, che accompagnino e guidino ma solo la musica, quel pop strumentale cinematico che va ben oltre l’essere colonna sonora, “che diventa protagonista”. E’ Dardust, progetto sperimentale di Dario Faini che punta a fondere lo scenario pianistico con l’elettronica. Sabato 13 maggio salirà sul palco del Teatro della Concordia di Venaria Reale per aprire il concerto di Levante. Un’anima “bipolare” la sua, con una lunga carriera di songwriter e tre intensissimi anni da composer (compositore e performer) dalla pubblicazione di “7” nel 2014, primo di un’asse di tre lavori per superare la sfida gigantesca di “andare contro le logiche discografiche e le solite opinioni. Io faccio quello che voglio, secondo i miei parametri e cerco di farlo al meglio e bene”.
E quello che fa è “pop strumentale cinematico”: cosa significa in un mondo in cui tutto sembra rientrare nella macro categoria indie?
“Un genere complicato da descrivere ma molto semplice all’ascolto. Dardust è un progetto di certo indipendente ma non indie se si considera la doppia accezione artistica, oltre che discografica. C’è tutto un immaginario indie che va rispettato, Dardust lo è solo nella gestione. A livello artistico è crossover che prende dalla musica classica, minimalista e cinematico per le performance collegate al racconto di immagini. Come una colonna sonora, ma non di accompagnamento: protagonista”.
E sabato lo porterà sul palco torinese: cosa dobbiamo aspettarci dal concerto con Levante per “Nel caos tour”?
“Sono molto contento di aprire il concerto di Claudia: abbiamo lavorato molto insieme nell’ultimo album e mi fa immensamente piacere il suo invito. Per quanto riguarda Dardust, non ci saranno luci o visual nello show live, quindi diciamo che sarà al 60% ma mi piace l’idea di avere 20 minuti per far capire cos’è Dardust. E poi magari rivedere gli stessi volti nelle date ufficiali”.
C’è mercato in Italia per questo genere?
“Non c’è, per la scena dei pianisti c’è molta elettronica ed è contaminato; a livello elettronico c’è il pianoforte, mentre la performance live è più da band. Ma non me ne frega nulla di tutto ciò, bisogna sperimentare”.
Per questo la scelta dell’etichetta indipendente torinese Inri?
“Volevo essere libero dal lato artistico, con loro nessuno ti dice nulla. Si sono fidati di qualsiasi passaggio e scelta artistica: dal live ai brani”.
E di brani ne ha composti molti per autori pop dal calibro di Renga, Grandi e Mengoni. Arrivare da questo mondo ha creato pregiudizi nel pubblico quando ti ha visto salire sul palco?
“Magari per qualcuno… Se fosse stato in America non sarebbe interessato a nessuno, forse perché gli italiani devono sempre etichettare. I mondi indie e pop non sono così distinti: ci sono gruppi cantautoriali oggi che sono ultrapop. E poi diciamocela: che un cantautore indie inizi a scrivere pop fa figo, non vedo perché non debba esserlo anche il contrario. Soprattutto se il progetto non è cantautoriale ma sperimentale. Faccio quel che adoro: mi piacciono i film, la scena elettronica, la musica classica e mi piace stare sul palco. E poi la mia voce fa schifo, quindi non mi metterei mai a cantare”.
I tuoi brani, infatti sono solo strumentali. Oltre la voce che fa schifo, non ha pensato di scrivere testi da far cantare ad altri?
“Lo faccio nel pop e a dirla tutta non vedevo l’ora di liberarmi dalle parole: un fardello per alcune melodie. Soprattutto in italiano, una lingua musicata: qui spesso accade che la melodia viene mortificata o addirittura impoverita dalle parole, come in caso di utilizzo di tronche. In Italia non puoi banalizzare le parole, allora perché non toglierle? Le uniche parole sono quelle del titolo che può essere in italiano, in inglese ma anche in islandese”.
Arrivando all’Islanda: non ha mai negato di amare i Sigur Ros e molto di quello che è islandese tanto che il tuo secondo lavoro è stato registrato lì. E come te diversi sono gli artisti che si ispirano a quelle sonorità nordeuropee o a quei rilassanti e sconfinati paesaggi. Una preferenza che secondo lei ha una connotazione sociologica oltre che artistico-culturale?
“Devo correggerti, i paesaggi sono perturbanti, non rilassanti. Per andare in Islanda devi essere pronto a livello psicologico e esperienziale. Se ci vai da solo, di fronte a certa imponenza potresti anche spaventarti. Per me è stata una scelta legata all’immaginario nei miei ascolti, l’ho sempre sognata e devo fare qualcosa che fosse mio e che catturasse l’ispirazione. Mi ha spinto la curiosità, la magia ed è strano visto che sono un tipo sedentario. Poi per lo stile di vita, di certo devi assorbirlo bene noi siamo abituati ad altro”.
Ha parlato del bello di scrivere nella sincerità, cosa significa? E soprattutto cosa significa non farlo?
“Quando si scrive per gli altri ti devi adattare a un contesto, un mondo che non è tuo. Come dover fare un vestito che non è per te, che deve indossare un altro interprete e allo stesso tempo devi mantenere quello che è tuo. Altrimenti sarebbe fare il mestierante. Insomma, adeguandoti a un contesto diverso dal tuo non puoi essere sincero, mentre con Dardust non penso a nulla: no target, no mercato ma quello che sono io e crea anche guai. E’ una sfida difficile ma su questo sono irremovibile. E per quanto, come hai detto tu, il mercato italiano è difficile devo dire che in due anni ho fatto tantissimo. Forse anche troppo”.
Insomma, la risposta al chiederle se si ritrova più nel ruolo di songwriter o di composer sembra scontata.
“Mi ritrovo totalmente nell’essere Dardust anche se l’altro è un lavoro che mi piace tantissimo e, va detto, a livello remunerativo è imparagonabile tanto che mi ha permesso di investire in un progetto nuovo come Daardust. Ma di base mi piace il fatto di essermi rimesso in gioco, non ho più 20 anni e potevo starmene a casa. In vece ho scelto di salire sul palco”.
Dopo “7” e il secondo album “Birth” ci sarà quindi una pausa prima del terzo album?
“Sì”.
Quanto dovremmo aspettare?
“Credo ottobre 2018. Ora farò live fino a novembre, quello che amo fare”.
Collaborazioni in vista?
“Per adesso no, magari oseremo più in là. Ora in cantiere c’è un rework con Calcutta di Oroscopo in versione Dardust. Poi tra settembre e ottobre un progetto elettronico prima del gran finale delle date di novembre. Infine, dopo lo spin-off acustico di “Slow is” sto lavorando a uno spin-off elettronico. Dardust inizia a camminare da solo e questa sfida gigantesca la voglio vincere”.