Un articolo su Daniel Pennac non può che iniziare con un racconto di Daniel Pennac. La storia che ha intrattenuto il pubblico del Salone del Libro il 19 maggio, e che dà piena potenza al Pennac romanziere e insegnante gli è stata sussurrata all’orecchio da Vladimir Nabokov, come un consiglio su come trattare la casualità in un romanzo. La storia è quella di un uomo su un transatlantico, ma un transatlantico vero, con le sale da ballo e le orchestre. L’uomo ha ballato tutta la notte ed è stanco, ma a fine serata sale sul ponte, in poppa. Si disfa il farfallino, apre i gemelli, si rimbocca le maniche e respira l’aria del pacifico. A un certo punto un venticello gli solletica le narici e lo fa starnutire. Nel movimento, i due gemelli cadono nel mare. Erano i gemelli del bisbisbisnonno, due diamanti puri, ognuno dei quali valeva una fortuna colossale. E i due diamanti vanno giù, a fondo, fino a 8712 metri sott’acqua. Lo stesso uomo 6 mesi dopo è a New York, a mangiare nel miglior ristorante di pesce del mondo e ordina un branzino. Il maître gli domanda se glielo deve pulire, ma il cliente preferisce fare da solo. Si arma di posate, gira il branzino, lo apre..e i gemelli non ci sono. “Nabokov mi ha detto che è così che devo trattare il caso in una storia. Nabokov che naturalmente non ho mai conosciuto”.
Daniel Pennac senza Malaussène e Daniel Pennac con il nuovo Malaussène. Il Salone del Libro oggi ha fatto il pieno dello scrittore francese, uno dei più celebri e amati. Prima il Pennac insegnante per “Educare alla lettura. Il verbo leggere”, poi il Pennac scrittore per la presentazione del nuovo romanzo “Il caso Malaussène”.
Con il sottofondo delle grida dei bambini alle prese con le attività dei laboratori, Daniel Pennac ha raccontato del suo preferito tra i libri che ha scritto: “L’occhio del lupo”, classe 1984. Un libro per ragazzi che parla anche agli adulti, di immigrazione, di perdita dell’infanzia, delle origini e della famiglia. E da qui al parlare di accoglienza il passo è breve. Ed è ancora più breve quello tra accoglienza e valori europei, che hanno scatenato battimani ed entusiasmo nel panel del pomeriggio. Il nuovo sogno del Pennac insegnante è un’università europea, grazie a cui tutti i giovani del continente possano imparare ad amare le tradizioni e le lingue di tutti. E magari anche il cibo, pure quello tedesco o inglese. “E a mangiare gli spaghetti nel modo giusto”.
Il Daniel Pennac professore ha sempre molto da insegnare, agli studenti ma anche ai docenti, e vive secondo il dettame che professa da più di vent’anni: il verbo leggere non vuole l’imperativo. Non è possibile dire a un ragazzino “leggi!”, così come non è possibile dirgli “ama!” o “sogna!”. Il tempo verbale giusto dovrebbe essere quello dell’esortativo . Si chiede sempre a chi legge se ha capito e cosa. Sei cullato dalle parole di Pessoa, ti perdi nei suoi panorami e nei suoi paesaggi, in poltrona, e poi qualcuno fa capolino da dietro la spalla con la fatidica domanda “beh, cosa dice Pessoa e pagina 25-26?”. I ragazzi vivono la lettura con la paura costante della valutazione, del giudizio, del “hai capito?”.
Il consiglio di Pennac, a questo punto, è di non condividere la cultura, ma il desiderio della cultura. La gioia della letteratura, la felicità del leggere e non l’obbligo. “Il y a chez vous en Italie des romans qui font gueuler les élèves de peur. Quand je vais dans les lycées italiens je dis “Vous aimez le Il Visconte dimezzato?” La réponse est qu’il fait horreur, parce-que c’est au programme. (“Voi in Italia avete dei romanzi che fanno urlare gli studenti di paura. Quando vado nei Licei italiani chiedo “vi piace il Visconte Dimezzato?” e la risposta è terrorizzata, perché è nel programma”). In Francia non è nel programma, e i suoi alunni sgranano gli occhi nel sentirlo raccontare. Perché non c’è niente di meglio che sentire una storia letta da qualcuno, e ancora meglio è addormentarsi al suono della voce di qualcuno che legge una storia. Ed è per questo che gli alunni di Pennac hanno il permesso di addormentarsi con la testa sul banco durante le sue letture.
Il lettore felice ha una fisiologia, e per Pennac è quella del padre. L’ha raccontato al primo panel del Salone del Libro del 19 maggio. Ha descritto papà Pennac in poltrona, con la pipa, la vestaglia e il fuoco nel caminetto. Papà Pennac non ha mai detto al Daniel bambino “leggi!”, ma lasciava Thomas Hardy aperto sul tavolino. Non l’hai mai obbligato a leggere Dostoevsky, ma l’immagine del padre alle prese con Delitto e castigo invogliava in modo naturale alla lettura.
Nel secondo panel, un dialogo ferrato tra Daniel Pennac e Stefano Montefiori, corrispondente da Parigi del Corriere della Sera determinato a rovinare alla platea il finale del nuovo romanzo. E a proposito di novità, c’è un Benjamin Malaussène vent’anni dopo. Un Benjamin nato dalla penna di un Daniel invecchiato, che si è reso conto che tutto quello che lo circonda è cambiato: non esiste più il Partito Comunista ma esistono i computer portatili. La società apparentemente è cambiata moltissimo, ma interiormente lui ha l’impressione, quasi in un moto di follia, di non essere cambiato. “Ed è proprio per la sensazione di non essere cambiato che ho provato a ritrovare la scrittura usata per Malaussène, il suo ritmo, la sua musica”.
C’è forse meno Belleville, nel nuovo romanzo, ma c’è sempre molta ironia: “la realtà è quello che stona”, solo nei romanzi tutto fila liscio, tutto è coerente. Ed è qui che torna la storia dell’uomo e dei gemelli perduti. La realtà è talmente poco credibile che per studiare la liquidazione di cui si parla nel romanzo (non vi preoccupate questo è un articolo spoiler-free, senza anticipazioni) Daniel Pennac ha analizzato i casi simili dei lavoratori francesi, ma non ha scelto la liquidazione più elevata perché sarebbe risultato poco credibile, anche se finanziariamente e realisticamente tutto fila. A questo punto è arrivata la “menzogna-non-menzogna”. Abbiamo bisogno di avere un’immagine del reale diversa da quella vera, perchè non possiamo credere che il reale sia quello che stona, che non è coerente, che non va bene. “Tutti gli esperti di balistica e di psichiatria e i carabinieri hanno l’ossessione della coerenza. Così viene scelto un colpevole che è usato solo per amore di coerenza. Solo i romanzieri costruiscono storie coerenti, il reale non è coerente”.
Tra un dibattito e l’altro era impossibile non parlare di Emmanuel Macron, nuovo Presidente della Repubblica francese. “Ho un pregiudizio positivo per lui, perché è il sosia esatto di Boris Vian”, e perché è giovane ed europeista. Pennac non è preoccupato dalla coesione francese, ma da quella europea. “Certo, in Francia c’è una paura radicata e intestina, quella per lo straniero e per chi è diverso. Ma non ha senso, se ci calmiamo un attimo e analizziamo la Francia del XX secolo capiamo che c’è stata un’immigrazione continua. La Francia è costituita da questi immigrati, magari accolti male all’inizio ma poi diventati i francesi che formano la Francia di oggi”.
E per concludere, quali consigli darebbe a un futuro scrittore? “Prima di tutto esaminare la voglia di scrivere, perché molti che pensano di aver voglia di scrivere hanno in realtà voglia di aver scritto, voglia di immaginarsi come il felice autore di un romanzo di successo”. È molto imprudente, perché c’è un prezzo da pagare. Il primo prezzo (che non è un vero prezzo) è la solitudine, e poi c’è l’annosa questione del successo che è dovuto al caso più assoluto. “Io ho avuto successo, ma non c’entro niente col mio successo. Il merito è della mia lingua, del caso, della mia traduttrice e di Stefano Benni”.