Le storie delle periferie presentano analogie in larghe parti d’Europa e del mondo. E raccontano emarginazione sociale, criminalità, abbandono, fino a guerre tra clan e omicidi a colpi di machete. In questi contesti passa la musica, che racconta, denuncia. “Le storie delle periferie vanno raccontate così come sono, con una sorta di neorealismo”, commenta Amalia De Simone, videoreporter d’inchiesta per Rai 3.
Il rap si presenta così, come uno strumento in grado di spiegare, con poche parole, le situazioni più difficili: “Nelle mie canzoni racconto la nuda e cruda realtà”, spiega il rapper Real al Festival internazionale del Giornalismo di Perugia. Real, nome d’arte di Salvatore Bocchetti, ha vissuto in prima persona le vicende della vita urbana napoletana, che hanno influenzato profondamente la sua prospettiva e la sua espressione artistica. Con i suoi testi, Real affronta le crude verità del suo ambiente, facendo luce sulle complessità della vita a Napoli, dall’influenza pervasiva della criminalità alle lotte per la sopravvivenza quotidiana.
“Il rap è l’arte della sublimazione – aggiunge Paola Zukar di Big Picture Management -. Il rap positivo permette di veicolare messaggi profondi, anche con parole rudi. Il pubblico giovane ha già strumenti per decodificarli”. Per molte zone marginali d’Italia, poi, la musica può essere un importante ascensore sociale e, insieme, uno strumento di riscatto. “Il messaggio che arriva con le canzoni può diventare importante per alcune comunità. La musica ha il potere di raccontare dei diritti mancati”, fa sapere Lirio Abbate, giornalista di Repubblica.
Ma come tutti gli strumenti, la parola cantata va maneggiata con attenzione. “Alcuni artisti sporcano l’opera del rap”, continua Abbate, in riferimento ad alcuni cantanti diventanti noti per episodi di cronaca. “Nel mondo delle gang, dalle parole di minaccia nelle canzoni si passa spesso ai fatti”, fa eco De Simone.