Dal Bangladesh a Torino: il lavapiatti diventa imprenditore di successo

condividi

Dal Bangladesh al centro di Torino a piedi. È il viaggio di Ismail Sikder, 36 anni, arrivato nel capoluogo piemontese nel 2004 con solo due dollari in tasca. Una storia a lieto fine, considerato che oggi è proprietario di due ristoranti e una panetteria ed è presidente del centro culturale islamico di via la Salle, una delle 17 moschee torinesi.

Quasi sei mesi di viaggio, dal Bangladesh attraverso la Russia e poi nell’Europa Centrale, fino a Venezia. “Appena arrivato sono passato davanti a un ristorante piemontese in San Salvario. La proprietaria mi ha chiesto se cercavo lavoro e mi ha messo in cucina: c’era il caos. In un’ora e mezza ho pulito tutto e mi ha assunto”. Inizia così la sua vita come lavapiatti. Ma qualche anno dopo il locale chiude e lui perde il lavoro. “Aiutando tra i banchi del mercato una cliente del ristorante mi ha riconosciuto e portato con sé nella sua attività con cucina napoletana, in via Genova 24”. Da lavapiatti diventa cuoco, da cuoco responsabile di sala fino a quando, nel 2014, acquista il Cacio e pepe di via Genova, diventato riferimento per specialità romanesche. “Eravamo sull’orlo del fallimento: oggi abbiamo 110 coperti e una media di 90 persone a pranzo”.

Nel frattempo, insieme a 20 connazionali, apre la moschea Dar As-Salam di via la Salle 6, di cui oggi è presidente. In occasione dei discorsi più importanti, fa da traduttore: la preghiera è in arabo ma le spiegazioni sono in bengali. “Alla moschea però ci sono anche pakistani, arabi e nordafricani. Quindi traduco in italiano le parti in lingua”. Alla preghiera del venerdì accorrono fino a 500 persone e per le festività più importanti molti si fermano anche per i pasti, rigorosamente halal. Cioè, tra le altre cose, privi di carne di maiale e di alcol. Adesso, in pieno Ramadan, i numeri salgono ancora.

Nel ristorante di sua proprietà si serve cucina romana: birre e vini accompagnano pizze e primi piatti che non rispettano i precetti alimentari dell’Islam. “Non è un problema: la religione musulmana non è qualcosa da mostrare, ti giustifichi solo davanti ad Allah. Non importa cosa dicono gli altri” dice Ismail. “So fare i plin, gli scialatielli napoletani e la pasta cacio e pepe. In cucina non assaggiavo il cibo: ho imparato a sapere se un piatto manca di sale senza bisogno di mangiarlo”. Il locale è comunque pronto a ospitare anche musulmani osservanti: “Ci sono molti piatti senza carne di maiale”.

Sulla scia del successo dell’attività, Ismail da meno di un anno ha aperto un altro ristorante vicino a Porta Susa (il Cacio e Pepe Mon Amour) e da pochi mesi una panetteria in via Berthollet. “Lo faccio per dare una possibilità a chi non la ha. Progetto di aprire una catena con dieci panetterie a Torino, per dare lavoro. Se io so fare le cose bene lo devo a voi, agli italiani” aggiunge. “Nel mio piccolo voglio essere un esempio del fatto che se hai di più, puoi anche dare di più”.

CAMILLA CUPELLI