Il grande pubblico li conosce per aver solcato il palco di X Factor nel 2015; il piccolo, invece, per le loro sonorità eteree, quelle da telo steso su un prato islandese come in un concerto dei Sigur Ros: un forte contrasto che i Landlord, band della scuderia dell’etichetta torinese indipendente Inri, riconoscono senza farsene un cruccio ma proseguendo per la loro strada. Solo un mese fa, infatti, a un anno dal loro primo singolo “Get by” hanno lanciato il brano “New Year’s Eye” per molti considerato la loro migliore creazione e sono pronti a tornare in studio per un album.
Ma chi sono davvero i Landlord?
“Quattro persone che si sono incontrate per caso”, scherza nell’intervista Gianluca Morelli, che con Francesca, Luca e Lorenzo da più di quattro anni (cinque il prossimo settembre, per l’esattezza) sfidano il panorama italiano sperimentando nuovi ed elaborati suoni, ben lontani dalla musica leggera che nel belpaese va per la maggiore. Sono “animali da studio”, verrebbe da dire, che però sognano stadi immensi internazionali e live epici, non perdendo la voglia di sperimentare ed evolversi. “Quando ci siamo incontrati – racconta Gianluca – ognuno ha portato quello che aveva dentro. E’ stato un po’ come un esperimento di cucina: mischiare gli ingredienti, ossia folk, musica elettronica e un’importante componente di musica classica che che nei dischi viene fuori, e scommettere sul risultato”.
Un elettropop europeo, come è stato definito, ma viene da chiedersi: non rischia di essere una pecca per il mercato musicale italiano?
“Non una pecca, diciamo che può essere “castrante” per le vendite. Sicuramente in Italia è più difficile ma ci siamo immaginati, appunto, di ricreare quella suggestione che noi in prima persona viviamo quando ascoltiamo gruppi come i Sigur Ros, perdendoci tra paesaggi nordici e sogni islandesi. E abbiamo provato a far sì che l’atmosfera venisse ricreata da italiani”.
Per intercettare, poi, il pubblico “di fuori”, come avete sempre dichiarato di voler fare. E’ così?
“Sì, è così. Non che ci sentiamo superiori rispetto a quel che si fa in Italia ma perché oggigiorno il mercato è internazionale, unico. Si parla e si scrive in inglese. E’ una questione d’idea musicale più che di linguaggio che adesso sta cambiando per noi in primis nel non voler comunicare solo con la musica ma dare importanza al testo. Certo, non che prima scrivevamo cose a caso, sia chiaro, ma ora che il lavoro sulle immagini musicali è stato approfondito vogliamo pensare al messaggio”.
Da XFactor allo Sziget Festival, qual è il palco dove i Landlord si sentono più se stessi?
“Sicuramente quello dello Sziget, anche se è il palco di X Factor ad averci permesso di fare bella figura su quello ungherese. Non rinneghiamo il talent ma sicuramente manca quell’approccio di esibirsi davanti a persone che sono lì per te e non per essere pubblico di una trasmissione televisiva. Intanto continuiamo a sognare stadi e paesaggi estesi, i grandi palchi, e non perché siamo eroi pop alla Ligabue ma perché esaltano meglio quel che ci piace nella musica”.
Per molti “New Year’s Eve”, è il vostro miglior brano. Per voi?
“Come gruppo è Hidden, da dove è nato tutto: il primo che ha messo tutti d’accordo, che ha messo i paletti. Con New Year’s Eve, invece, c’è una nuova svolta: è il primo pezzo dopo XFactor, nato in 5 minuti in studio dall’idea di un testo di Francesca sulla quale ho scritto il brano. E quando le cose succedono in 5 minuti sai già che sono forti”.
A due anni un bilancio è d’obbligo: cosa vi ha dato e cosa vi ha tolto X Factor?
“Ci ha dato tanta esperienza e la possibilità di lavorare con i professionisti migliori in Italia, da producer dal calibro di Fausto Cogliati a Luca Chiaravalli, e quello lo porti con te per sempre. Ciò che invece un talent ti può togliere, almeno nel nostro caso, è l’effetto sorpresa: a pochi giorni dall’ingresso eravamo pronti a uscire con un disco che avrebbe potuto spiazzare per il genere, mentre XFactor ti espone a un pubblico pop che si aspetta prodotti pop”.
Però è ricompensato dalla fama immediata…
“Sì, ma si deve fare una distinzione: tra i fans legati al programma televisivo e quelli che seguono te. Non è che se hai 50mila followers sui social poi le ritrovi ai concerti. All’inizio bisogna confrontarsi con cose simili e non è scontato. Oggi chi ci segue ascolta tanta musica, sono esperti e non si fermano al panorama nazionale ma ci sono stati anche molti, in quel periodo soprattutto, che ci hanno scritto in privato per dirci che in tv abbiamo fatto scoprire un mondo che non conoscevano. La nostra mission era proprio questa: portare cose che non vengono ascoltate in Italia e renderle popolari”.
Parlando di popolare, vi è stato mai chiesto di plasmarvi al mercato italiano?
“Sì, anche se con richieste del genere non si è mai troppo diretti. Avevamo intuito che dalla produzione volevano farci seguire un filone che non era il nostro, ad esempio quando ci chiedevano di modificare del materiale o ci assegnavano precisi brani diversi dal nostro stile. E’ importante, per chi partecipa a un talent come X Factor, avere le idee chiare su cosa si vuol fare. Noi in realtà eravamo indecisi se partecipare o no, volevamo rinunciare all’inizio, ma poi abbiamo deciso di buttarci a patto di mantenere la nostra linea, perché l’esperienza avrebbe potuto disunirci. E ne siamo usciti molto più uniti”.
Siete rimasti in contatto con altri concorrenti? E, magari, pensato a collaborazioni?
“Sì, con quasi tutti con frequenze diverse. Con qualcuno si lega di più, altri meno. Con Giosada e Urban Strangers, ad esempio, abbiamo più rapporti. Non dico giornalmente ma ci siamo incontrati al di fuori del programma. Parlare di collaborazioni, invece, ci piacerebbe tanto. Prima avevamo un disco già fatto e registrato, partivamo col tour, non era la fase per pensare a eventuali produzioni o collaborazioni, ora però lo stiamo considerando”.
State lavorando a un nuovo album, cosa ci dobbiamo aspettare?
“C’è una diatriba in atto per la nostra smania di reinventarci e cercare stimoli nuovi. Probabilmente spiazzerà e ci saranno enormi differenze ma per ora diciamo solo che stiamo cercando nuove vie comunicative per noi”.
Verrebbe da dire che potrebbe essere quella dei live, visto il carattere da studio che vi contraddistingue.
“Hai fatto centro, sentiamo questo problema durante il live. Il problema è che per far funzionare quel tipo di sonorità che ricerchiamo sono richiesti contesti di livelli molto alti. Nei club ci si diverte, soprattutto grazie al lavoro difficilissimo del fonico, ma per far suonare bene gli impianti servono spazio e strumentazione. Quindi, sì, ci piacerebbe portare tutto a un maggiore minimalismo, scusa il gioco di parole (ride, ndr). Insomma, rendere tutto molto più semplice ma più efficace, meno cose ma che si prestano”.