Da Tokyo 2020 alle acque di Fukushima: dove sono finiti i giovani giapponesi?

condividi

In un tempo non troppo lontano, i giovani giapponesi sapevano come manifestare il proprio dissenso. Ad oggi, sembra passata un’eternità dai tumultuosi anni Sessanta e Settanta, quando il Paese dell’Estremo Oriente ha vissuto uno dei periodi più conflittuali della sua storia più recente. Nelle strade in cui i giovani studenti radicali tiravamo molotov improvvisate alla polizia per protestare contro il governo di Tokyo, ora tutto tace. Gli argomenti per cui farsi sentire, però, sarebbero molti e di grande importanza per il Paese.

I Giochi Olimpici di Tokyo 2020, ormai 2021, rappresentano un caso. Rimandate a causa dello scoppio della pandemia, le Olimpiadi giapponesi sono – a 100 giorni dall’accensione del braciere olimpico – una pratica tutt’altro che chiusa. Mentre la fiaccola sta viaggiando per il Paese già da settimane, un’esponente del Partito Democratico Liberale (partito di appartenenza del primo ministro Yoshihide Suga) frena: “la cancellazione dei Giochi è un’opzione verosimile” . Per poi fare un passo indietro: “Era solo una frase ipotetica”. Sono però gli stessi esperti ad avvertire come lo svolgimento delle Olimpiadi – anche a porte chiuse – potrebbe causare un’ondata di contagi da Covid-19 in tutto il mondo, oltre che nel Paese ospitante (che in questi mesi sta vivendo una nuova ondata di casi). La popolazione giapponese è divisa sull’argomento. Secondo i dati raccolti dal quotidiano The Mainichi Shimbun, il 45% della popolazione vorrebbe che si svolgessero (con o senza spettatori), 17% che fossero posticipate e il 32% che fossero cancellate definitivamente. In ogni caso, non ci sono state grandi manifestazioni a riguardo.

Altro caso controverso – forse ancor più cruciale – è lo smaltimento delle acque contaminate di Fukushima nel Pacifico. Ben 1,25 milioni di tonnellate di acque utilizzate per raffreddare i reattori danneggiati della centrale nucleare di Fukushima, che finirebbero nell’oceano nei prossimi anni. Una decisione presa dal governo di Suga che ha provocato grande preoccupazione per i vicini del Giappone – Cina e Corea del Sud in primis – e per le grandi ONG ambientaliste, con Greenpeace in prima linea. Una causa – quella dell’ambiente – che desta l’interesse e le proteste dei giovani di mezzo mondo. Ma non dei pari età giapponesi.

“All’indomani dell’incidente di Fukushima del marzo 2011 si erano formati importanti gruppi di giovani manifestanti che all’epoca ebbero grande risalto nella vita politica del Paese. Per gli ultimi eventi, quali le Olimpiadi e le acque contaminate, questi gruppi non si sono esposti” ha affermato Alessia Cerantola, giornalista esperta di Giappone. “Questi movimenti non sono morti definitivamente, ma hanno mancato di mostrare il dissenso in questo momento particolare del Paese” ha continuato. Le poche e piccole proteste – paradossalmente – sono organizzate dai nonni dei giovani cittadini giapponesi, quelli che hanno vissuto il cosiddetto “Sessantotto giapponese”. Secondo un articolo di DW News, le nuove generazioni non pensano infatti che manifestare in piazza sia un vero veicolo di cambiamento sociale, dissociandosi spesso dai problemi del Paese, che vedono come lontani dalla loro vita quotidiana e, per questo, di scarso interesse.

Così – mentre il mondo scende per strada per chiedere uguaglianza, azioni contro il cambiamento climatico e democrazia – i giovani giapponesi preferiscono restare a guardare gli ultimi eventi in modo per lo più passivo. Impareranno – prima o poi – ad ascoltare i propri nonni?