La testata del Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” di Torino

“Da grande voglio fare la reporter”, i consigli di Francesca Mannocchi

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Mai partire senza giubbotto antiproiettile ed elmetto. Sembrano i consigli per cadetti di qualche corpo militare. Invece no, sono quelli per giovani reporter freelance. Francesca Mannocchi lo sa bene, giornalista e autrice di numerosi reportage pubblicati su testate italiane e internazionali dalla Siria allo Yemen, passando per Egitto, Libia, Libano e molti altri Paesi ancora. Stavolta non parla da Mosul o da Tripoli, ma davanti al computer dalla sua abitazione a Roma: “Credo di non aver mai passato un periodo così lungo in questa casa”. Il lockdown ha imposto uno stop anche alle sue trasferte che solitamente la portano lontana dai confini italiani. Ma come è iniziato tutto? Dopo anni di lavoro in trasmissioni televisive, nel 2014 ha scelto di licenziarsi e cambiare strada, facendo un “triplo salto carpiato verso la vita da freelance”. “Desideravo che mi fosse concesso l’ingrediente principale per fare del buon giornalismo, cioè il tempo”, spiega. Eppure non nasconde le difficoltà di questa scelta di vita: “Sono onesta, è molto difficile partire da freelance. Non avrei fatto questo percorso a volte molto faticoso se non avessi speso tanti anni nelle redazioni. Ripeto sempre che per me è fondamentale farsi almeno due o tre anni di gavetta in una redazione, una qualsiasi”. Per ogni consiglio dispensa un aneddoto. Come quella volta in cui da una domanda di troppo fatta a un ragazzo di Mosul imparò una lezione fondamentale per il suo lavoro: “Non possiamo lasciare alle persone che incontriamo il peso di domande irrimediabili. Perché noi torniamo a casa, ma loro restano lì”.

Proprio il rapporto con la popolazione locale è un elemento imprescindibile per chi vuole lavorare in territori di conflitto o di frontiera. Un reportage non si improvvisa, serve studiare tanto. Leggere gli articoli dei colleghi stranieri, chiedere consiglio, conoscere la condotta da avere e i comportamenti da non tenere. Non è uno studio fine a se stesso. È essenziale anche per la propria protezione individuale. Se si va in trasferta in un Paese in conflitto da freelance non ci sarà un giornale alle spalle pronto a coprire il costo di eventuali imprevisti sull’attrezzatura o sulla persona stessa. La sicurezza è una responsabilità del reporter. Per questo è fondamentale portare sempre con sé un giubbotto antiproiettile e un elmetto per proteggersi e non peccare di ingenuità. Nonostante questa consapevolezza obbligata, per Mannocchi “la miglior agenzia di sicurezza sono le persone fidate del luogo”. Spesso in territori stranieri il giornalista europeo tende a sfidare i limiti e a spingersi oltre. “Con il tempo ho imparato che se il mio fixer (l’accompagnatore che assiste i giornalisti sul campo ndr) mi dice che più in là non si può andare perché è pericoloso, io mi fermo”. Un’altra tentazione da evitare è quella di raccontare ad ogni costo la storia che si ha in testa prima della partenza, cercare conferme alla propria tesi, al proprio punto di vista, con la convinzione che andando in luoghi di conflitto basti l’emergenza a fare il racconto. Non è così. Quella storia immaginaria dovrebbe restare ferma ai metal detector dell’aeroporto, insieme alle bottigliette d’acqua. La grande sfida per un buon reporter è invece raccontare la realtà così com’è, non l’idea -spesso eurocentrica ed eurocentrata- che ci siamo fatti. “Non siamo i protagonisti delle storie che raccontiamo, prestiamo solo gli occhi e la penna”, continua Mannocchi.

Negli anni come giornalista ha sperimentato molti linguaggi diversi, dal reportage narrativo, al film documentario, dal romanzo alla graphic novel. Ogni volta la sfida da vincere è trasformare una bella idea in qual cosa di bello da vedere. In qualcosa che valga la pena leggere o guardare. “Alla fine di ogni pezzo devo chiedermi: il lettore ha visto quello che ho visto io? Ha sentito la puzza del mondo che ho sentito io?”.

Anche in queste settimane di quarantena, distante dalle frontiere geografiche, ha saputo esplorare nuove frontiere, più vicine, create dall’emergenza sanitaria e sociale in atto. Così senza bisogno del passaporto ha incontrato, ad esempio, i maturandi d’Italia per farsi raccontare le paure e le difficoltà di chi si trova a un momento cruciale della propria crescita immerso in un momento storico inedito e complicato. E a chi sogna il mestiere del reporter consiglia: “Non cercate una firma, ma cercate una voce, un metodo che sia il vostro”.

ROBERTA LANCELLOTTI