Ha vinto il Giro d’Italia del 2004, tre Lombardia e altrettanti Trentino, l’Amstel Gold Race, la maglia di miglior giovane al Tour de France. In sella alla sua bici, Damiano Cunego ha vinto un po’ dappertutto. In Piemonte, però, ha messo in bacheca soltanto due corse meno rinomate, i Gran Premi Nobili Rubinetterie del 2004 e del 2005. “Credo sia una casualità – commenta il trentaseienne che a fine mese correrà per l’ultima volta prima di ritirarsi -. Ma sono bei posti e ho dei bellissimi ricordi lì”.
Per esempio?
Per esempio ad Alba, in provincia di Cuneo. Lì mi hanno invitato per alcune premiazioni. Una volta mi hanno regalato un tartufo molto importante, un’altra un diamante che mia moglie ancora indossa al collo.
Magari avrà modo di tornarci dopo il ritiro…
Perché no? In futuro organizzerò training camp ed eventi, se mi invitano vengo!
Quali sono quindi i suoi progetti per il futuro?
Credo di firmare ancora un contratto con la mia squadra, la Nippo Vini Fantini, non più per correre ma per occuparmi di sponsor, eventi, e diventare una figura di raccordo tra direttore sportivo, atleti, preparatori atletici. E intanto sto studiando Scienze motorie all’università telematica di Milano.
Come sta andando?
(ride, ndr) Sono indietro! Non ho avuto molto tempo finora, sono al primo anno.
Direttore sportivo o ct della Nazionale, dove si vede Damiano Cunego tra cinque anni?
È un po’ presto per dirlo, ma mi piace di più la seconda idea. Il direttore sportivo non rientra nei miei progetti per il momento.
Un passo indietro: se la ricorda la sua prima bici?
A 4-5 anni mi sembra che ne avessi già una, ma sono ricordi vaghi. In mente però ho la prima mountain bike a 11 anni. Era tutta colorata: giallo, viola e arancio. In quegli anni andava di moda il fluo.
Da ragazzino più che in bici andava forte a piedi. Le piaceva la corsa campestre, vero?
Molto, erano gli anni delle scuole superiori e andavo forte. Mi allenavo anche a casa e sono arrivato terzo ai campionati nazionali sull’isola Albarella di Venezia.
E poi come è passato alle due ruote?
Era la fine del 1996, avevo 15 anni. Nel mio paese c’erano 4-5 ragazzi molto competitivi nella mountain bike e ho preso spunto da loro. Troppo fuori strada però non mi piaceva, così ho provato l’asfalto. Da ragazzino non avevo mai pensato al ciclismo, di cui avevo soltanto una vaga idea di che cosa fosse. Pensi che da bambino non sono mai andato a seguire il Giro d’Italia da tifoso, la passione mi è venuta dopo. Guardandomi indietro posso dire di aver trovato lo sport giusto!
Se non avesse fatto il ciclista che cosa avrebbe fatto?
Studiavo in un istituto tecnico industriale, forse avrei proseguito su quella strada tra fresatrici, macchine utensili e torni. Studiavo quello perché mi piaceva, ma la mente era dedicata allo sport. La scuola però l’ho voluta finire, mi sembrava sbagliato interromperla. Metti mai che poi andava male con la bici…
A proposito di bici, meglio l’istinto o la programmazione?
Una volta forse c’era più spazio per l’improvvisazione, ora il ciclismo è completamente schematizzato. Però non provo rammarico, ho vissuto un po’ tutte le epoche e quando ho vinto nel 2004 forse era più adatto a me. Sono venuto fuori al momento giusto.
Ha mai pensato di essere stato sconfitto da corridori dopati?
Non penso, non ho mai insinuato niente e non lo faccio di certo ora. Io ho sempre pensato soltanto a fare il mio lavoro.
Cunego, è soddisfatto della sua carriera?
Sì, mi va bene così com’è andata. Posso darmi il massimo dei voti.