In Inghilterra il numero di decessi causati dal Coronavirus ha superato le mille unità. La Bbc ha rilevato una notevole velocità di crescita della curva dei contagiati spiegandola con il grande numero di tamponi effettuati.
L’emergenza ora fa paura anche lì, dove il Covid-19 ha contagiato il principe Carlo e il premier britannico Boris Johnson.
Pino Zagaria, giovane italiano di origine pugliese, vive e lavora nel Midland, a Wolverhampton, a due passi da Birmingham, la città che ha registrato più casi e dove sono stati allestiti ospedali temporanei.
Zagaria lavorava in un casinò che ha chiuso poco prima del lockdown imposto dal governo. In Puglia è stato anche giornalista locale. Ora è in partenza per l’Italia anche perché “nel Regno Unito – osserva Pino – non ci sono gli ammortizzatori sociali e un welfare state forte come in Italia”. Intanto, un suo collega inglese, nemmeno trentenne, ha perso la sua figlioletta a causa del virus.
[aesop_quote type=”block” background=”#282828″ text=”#ffffff” align=”left” size=”1″ quote=”All’inizio in Inghilterra si è scherzato su. Anche fin troppo” parallax=”off” direction=”left” revealfx=”off”]
Cominciamo dall’inizio, quando gli untori erano i cinesi. Cosa accadeva in Inghilterra?
“Prima la Cina, poi i casi sono esplosi in Italia un mese fa. Gli inglesi hanno agito con scetticismo e indifferenza. Ci abbiamo anche scherzato su, troppo. Poi la sequenza delle azioni e reazioni è stata esattamente identica a quanto accaduto in Italia.
Sono stato in Italia una decina di giorni a metà febbraio. I fatti di Codogno sarebbero venuti fuori di lì a poco. Poi sono tornato qui a Birmingham e ho rivissuto le stesse scene per due volte. È stato come rivedere la puntata di una serie una seconda volta in una lingua diversa.
Quando un mese fa l’Italia chiudeva tutto, in Inghilterra dicevano che noi italiani stavamo esagerando con questo atteggiamento estremamente protettivo, al limite dell’essere eccessivo e della psicosi. Così dicevano della Cina prima. A ciò si aggiunsero le parole del primo ministro Boris Johnson che avvalendosi degli studi degli esperti da cui aveva preso consiglio, puntava a non chiudere e a lasciare che l’infezione facesse il suo corso, inseguendo la chimera dell’immunità di gregge”.
E adesso com’è la situazione?
“Gli inglesi oggi provano un grande senso di delusione, di abbandono e tristezza. Il 13 marzo si sono sentiti dire dal premier Johnson che “Dobbiamo prepararci all’idea di perdere molti dei nostri cari”. È stato dichiarato dalla persona che dovrebbe dire e fare tutto il possibile per evitare che ciò accada. Ha fatto cadere le braccia ai cittadini inglesi che via via prendevano coscienza della situazione e iniziavano a preoccuparsi. Poi i casi sono iniziati ad esplodere anche qui, fino ad arrivare alla chiusura che il governo ha ordinato in uno scenario che ora è molto simile a quello dell’Italia”.
[aesop_quote type=”block” background=”#282828″ text=”#ffffff” align=”left” size=”1″ quote=”Sesto giorno di lockdown. La polizia non ha potere come in Italia” parallax=”off” direction=”left” revealfx=”off”]
C’è qualche differenza rispetto allo scenario italiano?
“Siamo al sesto giorno di lockdown imposto dal governo. La chiusura è grossomodo simile a quella dell’Italia. Tutte le attività commerciali non necessarie sono state chiuse. Qualcuno è ancora in giro. Qui la polizia non ha potere, punta soltanto sul discorso persuasivo. Non è così presente come in Italia. Da un punto di vista culturale è bastato solamente consigliare di non uscire prima ancora di ordinarlo. Al casinò dove lavoravo avevamo già registrato un calo di presenza della clientela e abbiamo chiuso prima del lockdown”.
Come mai i casi non sono esplosi prima?
“Quando i miei colleghi parlavano di italiani untori io facevo notare loro che qui i controlli non erano stati fatti. Forse se avessero fatto prima i tamponi avremmo scoperto che anche qui il contagio era diffuso. Ora la situazione è paragonabile a quella italiana di dieci giorni fa”.
Come funziona il sistema sanitario inglese? Ci sono dei limiti rispetto a quello italiano?
“No. Il sistema sanitario inglese funziona come quello italiano. A tutti quanti è garantita l’assistenza sanitaria senza limitazioni. Non è come quello americano con assicurazione personale. Ma io attualmente, per il sistema sanitario inglese, non esisto. Quando a febbraio sono tornato in Italia ho inoltrato la richiesta per registrarmi al sistema sanitario inglese ma è stata respinta; a causa dell’emergenza Coronavirus hanno bloccato tutte le pratiche. Se mi dovesse succedere qualcosa son cavoli”.
Da giornalista conosci il sistema dei mass media. Come ti è apparso quello inglese?
“Inizialmente il Coronavirus era qualcosa di lontano da noi. I media si limitavano alla cronaca estera, minimizzando i rischi. Ora sono diventati monotematici. Il Tg della Bbc è esattamente come i Tg italiani”.
Cosa dicevano dell’Italia? Quale percezione avevano?
“L’opinione pubblica ha bollato questa emergenza come una normale influenza. Facevano notare che l’influenza stagionale uccide più persone. Dicevano che solo i cinesi potevano adottare misure del genere. Poi è esploso il caso italiano e dicevano che i media ci soffiavano sopra per alimentare il panico. Però anche in Italia, prima che scoppiasse l’emergenza, dicevano le stesse cose. Ora la situazione è drammatica. La morte di una ragazza 21enne priva di malattie pregresse ha suscitato grande preoccupazione. I giovani non si sentono più tanto sicuri”.
Vivi in una zona che era per lo più favorevole o contraria all’Unione Europea?
“Partiamo dal presupposto che il sistema elettorale qui è diverso. Come negli Usa, per votare ti devi registrare. Il voto viene esercitato solo dalle persone interessate. L’inglese medio non è detto che voti. Quindi i risultati elettorali non sempre coincidono con il parere della strada e dell’opinione generale. Qui per metà mi sembravano favorevoli alla Brexit, per l’altra metà europeisti”.
Cosa dicono ora i giornali dell’Unione Europea?
“Dicono che l’Italia è una nazione in difficoltà, abbandonata da Bruxelles”.
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Hai seguito qualche discorso politico?
“Il discorso sull’immunità di gregge in realtà era anche dettato da un problema che affligge l’Inghilterra. Tutti i governanti sono alle prese con una ricerca del giusto punto di equilibrio tra prevenzione sanitaria e produttività economica. Noi in Italia abbiamo agito più pensando alla prevenzione sanitaria, mentre qua in Inghilterra sono fortemente condizionati dal discorso economico e dal discorso Brexit. Il 2021 sarà il primo anno che di fatto il Regno Unito camminerà economicamente con le proprie gambe. Se questa emergenza dovesse condurre a una congiuntura fortemente negativa il sistema economico inglese potrebbe non reggere. Da qui si spiega il fatto che qui volessero tenere le attività economiche aperte il più a lungo possibile, sfidando l’emergenza sanitaria. Ora hanno chiuso anche gli inglesi e si apre un enorme punto interrogativo sulla salute del loro sistema economico. Bisognerà capire se potranno andare a bussare alle porte dell’Unione Europea nel caso dovesse diventare necessario. Di fatto tutto il processo di negoziazione della Brexit non è stato ancora completato ed è tutto sospeso.
Tornerai in Italia?
“Ho già prenotato il biglietto. Ancora per qualche giorno i trasporti sul territorio nazionale saranno notevolmente ridotti. Per quanto riguarda il rimpatrio degli italiani attualmente ci sono cinque voli al giorno che l’Alitalia ha garantito da Londra fino al prossimo 5 aprile”.
[aesop_quote type=”block” background=”#282828″ text=”#ffffff” align=”left” size=”1″ quote=”I miei colleghi sono disperati. Il concetto di welfare state in Inghilterra è molto labile. In Italia è forte” parallax=”off” direction=”left” revealfx=”off”]
Perché hai deciso di tornare a casa?
“Avevo già ricevuto un’offerta di lavoro dall’Italia e sarei tornato per l’estate. Tuttavia ci siamo ritrovati chiusi e senza lavoro e, se il governo non fosse intervenuto, ci saremmo ritrovati anche senza stipendio. Tutte le conquiste sindacali raggiunte in Italia qui in Inghilterra non sanno cosa siano. Il giorno che ci hanno comunicato la chiusura vedevo i miei colleghi disperati. Molti di loro si sono licenziati e sono andati a lavorare per la grande catena alimentare, poiché non hanno nessun tipo di sostegno dal punto di vista legislativo e sindacale. Il concetto di welfare state qui è labile. In Italia è molto più forte”.