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“Conoscere per deliberare”: riflessioni su Luigi Einaudi

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Come ha ricordato il presidente di Isybank Francesco Profumo, il legame di Luigi Einaudi con le istituzioni democratiche era profondo: ne aveva sperimentato la fragilità – culminata con l’ascesa dei totalitarismi – per poi contribuire, con serietà e rigore, alla loro rifondazione nell’Italia repubblicana. E infatti: “Il pensiero di Einaudi ci offre una lezione: la democrazia non si difende solo con le elezioni, ma anche con la qualità del dibattito pubblico, con la serenità delle decisioni economiche, con il rispetto della libertà di stampa e della legalità. Einaudi ci ha insegnato che la libertà economica è condizione necessaria, ma non sufficiente per una democrazia solida”. Argomenta Profumo, durante “Luigi Einaudi tra liberalismo e democrazia. Storico, economista, intellettuale” al Polo del 900: “La democrazia era per Einaudi un’architettura delicata, fondata sul rispetto, sulla conoscenza, sul rispetto delle regole e sulla responsabilità degli eletti”. Proprio per questo, Einaudi – che concepiva la democrazia come pratica quotidiana, come esercizio di responsabilità collettiva – “avrebbe guardato con sospetto alla delegittimazione delle istituzioni e al disprezzo per la competenza” che caratterizzano i nostri tempi.

Sulla centralità del ruolo della conoscenza nel pensiero di Einaudi si è espresso anche Pietro Garibaldi, professore di Economia politica dell’Università di Torino. Garibaldi ha ricordato lo slogan “più semplice e più bello di Einaudi: conoscere per deliberare”. Anche in questo caso, il mondo contemporaneo ci offre due situazioni opposte, ma complementari rispetto a cui la massima di Einaudi risulta calzante: chi delibera forse senza conoscere, o almeno non del tutto, come il presidente Trump con la sua guerra a suon di dazi e chi molto conosce e poco delibera, come l’Unione europea. E a proposito di dazi e guerre commerciali, ha ricordato Roberto Marchionatti, professore emerito di Economia politica dell’Università di Torino, quanto per Einaudi “il protezionismo, per quanto talvolta sia teoricamente ammissibile, è praticamente da usare il meno possibile: chi gode di protezione cerca di trasformarla, da temporanea e giustificata, a perpetua. Inoltre, quando progredisce un’industria è sempre necessario verificare che questo non accada a detrimento di altri settori: normalmente questo è ciò che si verifica”. Durante gli anni trascorsi come governatore della Banca d’Italia, Einaudi aveva spiegato il meccanismo vizioso dietro l’inflazione, di cui negli ultimi anni si è lungamente discusso: “inizialmente aiuta i profitti, ma danneggia i salari e i percettori di redditi fissi. Gli aspetti positivi di maggiore rendimento dei profitti si riducono con il passare del tempo e prevalgono gli effetti negativi, tra cui la decrescita della propensione al risparmio. Siccome il risparmio è precondizione dell’investimento, l’inflazione ha come effetto una diminuzione della crescita” chiarisce Marchionatti. Questa riflessione fu alla base della disapprovazione dell’economista piemontese per la ricetta keynesiana di rilancio dell’economia tramite la reflazione, da realizzarsi con un aumento dell’offerta di moneta.

Marchionatti sintetizza infine l’ordinamento socio-economico ideale per Einaudi. Questo avrebbe preso corpo nel piano liberale, basato sulla libertà di concorrenza. Siccome, però, il mercato, se lasciato totalmente libero, può distruggere la concorrenza questa deve avvenire entro regole ben precise che scongiurino il massimo pericolo per il sistema economico, i monopoli – pubblici o privati. “Ma è possibile far coesistere i vantaggi del far operare liberamente i mercati e le esigenze di giustizia sociale? La risposta di Einaudi prevede due considerazioni: è possibile agire per la riduzione delle diseguaglianza di partenza e delle punte eccessive di ricchezza tramite tassazione progressiva del reddito e delle successioni; è importante che la collettività garantisca almeno le pensioni per vecchiaia e cure sanitarie” prosegue Marchionatti. Quanto alla politica fiscale, Einaudi teorizzava l’imposta “ottima”, condizione necessaria affinché lo Stato possa fornire servizi e al contempo il sistema sociale ed economico operi nel modo più giusto ed efficiente possibile. L’ultimo punto chiave della visione einaudiana era costituito da un ordine economico internazionale capace di portare stabilità monetaria.

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