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Congresso delle famiglie, Manuela Naldini: “Mette in discussione diritti conquistati a fatica”

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Dodici edizioni si sono succedute senza grande eco mediatica, il XIII Congresso Mondiale delle Famiglie, invece, ha fatto molto discutere nelle ultime settimane. Da oggi, 29 marzo, fino a domenica 31, si riuniscono a Verona le associazioni che propugnano una società fondata sulla famiglia tradizionale, con posizioni anti-abortiste e anti-LGBT. La connotazione politica e religiosa del Congresso è andata accentuandosi negli ultimi anni (per approfondire, qui lo “spiegato” del Post), ma questa è la prima occasione in cui membri del Governo italiano partecipano come relatori a un evento tanto discusso per le sue posizioni in materia di diritti. Insieme a rappresentanti istituzionali di Paesi come Ungheria, Moldavia, Uganda, Malawi, Brasile, Thailandia, saranno infatti tra i relatori il vice-premier Matteo Salvini, il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti e il ministro per le Politiche della famiglia Lorenzo Fontana. La presenza sulla pagina web del Congresso del logo della Repubblica tra i patrocini rende ambigua la posizione del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che con un post su Facebook aveva smentito di aver concesso l’autorizzazione all’uso del simbolo del Consiglio dei ministri, ma al contempo permetteva a Fontana di far comparire quello del suo ministero. I movimenti per i diritti delle donne e del mondo LGBT hanno annunciato, in contemporanea con il Congresso, tre giorni di protesta con incontri e cortei.

Oltre a politici, tra gli ospiti figurano anche membri della Chiesa ortodossa (quella cattolica si è in parte dissociata), figure note al pubblico (come Sammy Basso e Nicola Legrottaglie), ma anche medici, studiosi e professori. Secondo Manuela Naldini, professoressa del Dipartimento di Culture, Politica e Società dell’Università di Torino, studiosa di sociologia della famiglia, la loro presenza non dà maggiore autorevolezza all’evento. L’Università degli Studi di Torino ha preso ufficialmente le distanze dal Congresso con un comunicato del CIRSDe, il Centro Interdisciplinare di Ricerche e Studi delle Donne e di Genere, con cui la professoressa Naldini collabora.

Quale idea si è fatta dell’evento di Verona?

“Non è un Congresso che possa essere definito scientifico in nessun modo: gli scienziati che vi aderiscono sono una minoranza mossa da forti motivazioni ideologiche o religiose. Nel campo delle scienze sociali, non vi sono nomi di rilievo dopo che il professor Giancarlo Blangiardo, demografo e presidente dell’Istat, ha cancellato la sua presenza. Mi ha sorpreso la decisione dell’Italia di ospitare questa assemblea, ma siamo in un periodo di campagna elettorale europea: non mi sembra che governi e politici italiani abbiano mai avuto tante attenzioni per il tema della famiglia come ora”.

Alcuni promotori del Congresso parlano di famiglia richiamando la Costituzione: cosa ne pensa?

“La Costituzione parla all’articolo 29 di famiglia come “società naturale fondata sul matrimonio”, adottando le definizioni culturali di 70 anni fa, ma tratta anche di uguaglianza tra uomini e donne, di riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio e di altri principi che hanno avuto attuazione legislativa negli anni ’70. Il nostro Paese, con la legge 76/2016 sulle unioni civili, per quanto a mio avviso incompleta, riconosce la creazione di particolari formazioni sociali: mi sembra che più che aderire alla Costituzione, i promotori del Congresso stiano mettendo in discussione diritti faticosamente conquistati come l’autodeterminazione delle donne, il divorzio e l’aborto”.

La difesa della famiglia tradizionale può essere una soluzione per far crescere il tasso di natalità?

“Al contrario, sono proprio le società che più sostengono le famiglie attraverso i cambiamenti ad avere i risultati migliori. Non è che chi si sposa fa più figli, le difficoltà sono legate alla mancanza di sostegni: l’Italia ha uno dei tassi di fecondità più bassi al mondo, non supera più l’1,5 perché non c’è una politica familiare coordinata e generosa dagli anni ’60 e mancano servizi per conciliare lavoro e famiglia, così dopo il primo figlio di solito ci si ferma. I provvedimenti come il “bonus bebè” sono troppo limitati, le poche promesse che sono state fatte ultimamente sono nate e finite con le campagne elettorali”.

LUCA PARENA