La testata del Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” di Torino

Con la chiusura dell’ultimo giornale libero, a Hong Kong muore la libertà di stampa

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«I giornalisti corrono enormi rischi per fare ricerca e preparare un articolo, mettendo in pericolo la propria vita in tempo di guerra e rischiando la propria libertà in tempo di pace. Molti grandi giornalisti hanno un DNA unico: sono disposti a correre dei rischi per esporre la verità, indipendentemente da quanto possa essere delicata. In tutto il mondo, ce ne sono alcuni che sono stati imprigionati e alcuni che sono stati addirittura uccisi per questo». Sono le parole che Yan Kei, avvocato per le riforme della giustizia penale, scrive oggi, martedì 22 giugno, in uno degli ultimi articoli dell’edizione inglese del giornale pro-democrazia di Hong Kong Apple Daily.

«Hong Kong – continua – era forse l’unico posto in Asia dove un tempo i giornalisti erano in grado di fare il proprio lavoro liberamente e senza paura. Per questo motivo, molte organizzazioni media internazionali avevano istituito uffici regionali a Hong Kong, coltivando in città generazioni di giornalisti di qualità, indipendenti, professionali e coraggiosi. […] Fino agli ultimi anni, la città ha continuato a godere di un alto grado di libertà dei media, che includeva il rispetto e l’accettazione della pubblicazione di opinioni fortemente discordanti. In realtà, ciò non era considerato qualcosa di speciale poiché la cultura di Hong Kong era sempre stata quella di dibattere apertamente, sfidarsi e scambiare opinioni forti su questioni socio-politiche. Tuttavia, dopo l’emanazione della legge sulla sicurezza nazionale, molti giornalisti hanno imparato a usare cautela e, in qualche modo, molti hanno anche iniziato a esercitare l’autocensura. La paura è nell’aria e i giornalisti non sentono più la libertà di cui hanno goduto per tanti decenni».

Le parole di Yan Kei sono importanti perché nella mattina di ieri, 22 giugno, attraverso un funebre comunicato intitolato “Cari lettori”, l’edizione inglese dell’Apple Daily ha annunciato di aver cessato la propria attività. L’articolo recita semplicemente: «Questo conclude gli aggiornamenti da parte dell’Apple Daily English, grazie per il vostro supporto». Il giornale costituisce l’ultimo baluardo della libertà di stampa a Hong Kong, e, proprio per questo, rischia di chiudere i battenti per sempre. Nella giornata di giovedì 500 poliziotti avevano fatto irruzione nella sede del tabloid, il più letto di Hong Kong, arrestando cinque persone, tra cui il direttore Ryan Law e Cheung Kim-hung, l’amministratore delegato di Next Digital, la società che possiede il giornale. Trasmessa in diretta sulla pagina Facebook dell’editore, l’operazione di polizia ha portato al congelamento di oltre 2 milioni di dollari di beni in possesso di tre società collegate ad Apple Daily, causando uno stallo che potrà determinare l’esaurimento dei fondi nel giro di qualche settimana. Il giorno dopo la testata aveva quintuplicato le copie giornaliere arrivando a stamparne 500mila, grazie ad un grande supporto da parte dei residenti della città, ma le prospettive, ora, non sono buone. Il giornale, ieri, ha infatti scritto che potrebbe essere «a qualche giorno dal dover chiudere definitivamente, dopo che il consiglio di amministrazione della società madre ha deciso lunedì di prendere una decisione definitiva sulla questione venerdì, in attesa dell’appello per ottenere lo scongelamento dei beni del gruppo». Se venerdì verrà presa la decisione di cessare l’attività, continua l’articolo, la sezione online del giornale smetterà di pubblicare sabato, e nello stesso giorno verrà stampata l’ultima edizione cartacea. Next Digital, si legge, pagherà i suoi dipendenti alla fine del mese, il che lascia «meno di 10 giorni prima che la compagnia rischi di violare le leggi sul lavoro a causa degli arretrati sui salari».

La polizia ha accusato il giornale e i cinque arrestati di “collusione con forze straniere”, reato punito dalla controversa legge sulla sicurezza nazionale approvata lo scorso anno dal Comitato permanente del massimo organo legislativo cinese, il Congresso Nazionale del Popolo. La legge ha lo scopo di bloccare le attività terroristiche a Hong Kong, di vietare gli atti di «sedizione, sovversione e secessione» e le «interferenze straniere negli affari locali». L’incursione della scorsa settimana è avvenuta dopo che la polizia aveva identificato oltre 30 articoli pubblicati dall’Apple Daily che, secondo le autorità, hanno giocato un ruolo “cruciale” in una cospirazione con potenze straniere per imporre sanzioni a Hong Kong e alla Cina per minare l’autonomia della regione.

Come scrive Il Post, il prestigio dell’Apple Daily deriva soprattutto «dalle posizioni filo-democratiche del suo editore Jimmy Lai, che è diventato una figura di rilievo internazionale per il suo sostegno e la partecipazione alle proteste a favore della democrazia, e ha modellato la linea del suo giornale di conseguenza». Negli ultimi anni il giornale ha sempre mantenuto la sua indipendenza rispetto al regime, a differenza della maggior parte delle testate di Hong Kong. Ciò gli ha permesso di restare, secondo la maggior parte degli osservatori, l’unico organo di stampa veramente libero nella regione. Jimmy Lai era stato arrestato all’inizio di quest’anno e condannato per la sua partecipazione a manifestazioni pro-democrazia non autorizzate, ed è attualmente detenuto con altri processi pendenti, tra cui quello per violazione della legge sulla sicurezza nazionale che potrebbe procurargli l’ergastolo. Non è la prima volta che l’Apple Daily si trova ad aver a che fare con la polizia. «L’arresto di 5 persone è l’ultimo delle decine di arresti in quel giornale» spiega Patrizia De Grazia, presidente dell’associazione Radicale Adelaide Aglietta. «Per tutti questi mesi, ogni volta che usciva un articolo pro-democrazia o che semplicemente spiegava le proteste, compresa la manifestazione in ricordo del massacro di piazza Tienanmen, c’era un raid nella sede del giornale». Quello della scorsa settimana, però, è il primo vero attacco ai giornalisti in relazione alla loro attività professionale: nell’irruzione, infatti, sono stati sequestrati 44 dischi fissi, contenenti l’intero lavoro dei giornalisti e presumibilmente anche informazioni su eventuali fonti a cui questi avevano garantito anonimato e protezione.

Per la continuazione delle attività dell’ultimo giornale libero di Hong Kong non sembrano esserci speranze: «Non c’è nessun passo del governo in favore dello scongelamento dei beni – continua De Grazia – Oggi c’è stata la conferenza stampa della governatrice Carrie Lam. Quando le hanno chiesto cosa ne pensava lei ha risposto che ‘il giornalismo normale non si fa violando una legge sulla sicurezza nazionale’ e ha difeso l’arresto dicendo che, chiedendo le sanzioni al governo in oltre 30 articoli, la testata si è comportata in maniera altamente antipatriottica. Nessuno però ha fatto sapere, però, se questi testi siano articoli oppure opinioni, che non andrebbero considerate alla stregua dei primi. Al momento non si sa nulla».

La libertà di stampa, nella regione, è sotto attacco praticamente dall’inizio della sua appartenenza alla Cina: «Gli studi di Reporters Sans Frontières sui Paesi con maggiore libertà di stampa riportano come tra il 2002 e il 2019 Hong Kong sia retrocessa di venti posti. C’è sempre stato un tentativo di ridurre la libertà di stampa. Prima della legge sulla sicurezza nazionale, infatti, era entrata in vigore la legge sull’accreditamento dei giornalisti. Solo un numero ristrettissimo di testate veniva considerato giornalistico: se tu eri un freelance e coprivi una manifestazione non eri un giornalista che faceva il proprio lavoro, bensì eri parte della protesta e, di conseguenza, venivi arrestato».

Di fatto, l’introduzione della legge sulla sicurezza nazionale ha definitivamente messo fine al regime “un Paese, due sistemi” che governava la regione amministrativa speciale di Hong Kong dalla sua cessione alla Cina da parte della Gran Bretagna nel 1997. Uno status di grande autonomia che sarebbe dovuto durare fino al 2047, del quale però è crollato anche l’ultimo baluardo democratico: la libertà di stampa. «Quanto sta avvenendo – conclude De Grazia – dimostra come polizia e governo ormai siano in diritto di decidere qualsiasi cosa, anche la chiusura totale di un giornale. Ormai Hong Kong viene considerato uno stato di polizia. L’unico organismo che potrebbe davvero fare qualcosa è l’Onu, ma la Cina è membro permanente del Consiglio di Sicurezza e ha perciò potere di veto. Di conseguenza, finché esisteranno i membri permanenti questo tipo di accordi potranno essere violati impunemente».

«Nell’odierna Hong Kong, il dissenso è visto come qualcosa di sensibile», termina Yan kei nel suo articolo, che rende in maniera esaustiva l’idea di ciò che Hong Kong sta affrontando, e delle speranze dei suoi abitanti. «Tuttavia, in passato, il dissenso è stato visto come una norma e un segno distintivo di Hong Kong per decenni. Un governo forte dovrebbe abbracciare le opinioni dissenzienti e usarle a proprio vantaggio per migliorare economicamente, socialmente e legalmente. Con l’aumento dell’autocensura, dell’incertezza e della paura, la libertà dei media sembra essere diventata qualcosa del passato! Le autorità di Hong Kong devono riconoscere che la prosperità e il successo della città sono in parte dovuti ai media progressisti e liberi, che erano soliti esprimersi senza paura. Era proprio a causa di tale libertà che il mondo amava Hong Kong. Lasciate che il mondo continui ad amare e abbracciare questa città».