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Premi Pulitzer 2018: la sorpresa è Kendrick Lamar

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Dopo 102 anni di storia sono ancora New York Times e Washington Post a dominare i Pulitzer, assegnati dalla università americana Columbia ai giornalisti e alle redazioni statunitensi che hanno prodotto le storie migliori dell’ultimo anno. «Questi premi mostrano la forza del giornalismo americano durante un periodo di crescenti attacchi» ha dichiarato l’amministratrice Dana Harvey al momento dell’annuncio dei vincitori della medaglia d’oro istituita da Joseph Pulitzer nel 1917, che porta con sé una ricompensa di 10 mila dollari.

Pulitzer
La sede del Times (Wikipedia)

Il New York Times ha vinto, insieme al settimanale The New Yorker, nella categoria “servizio pubblico” grazie allo scoop sullo scandalo molestie, che ha dato il via al movimento #metoo, scoppiato con le accuse al produttore Harvey Weinstein. Il Times è stato premiato anche in “politica interna”, insieme ai colleghi del Washington Post, per la copertura del caso Russiagate, ovvero le presunte interferenze dell’amministrazione Putin sulle elezioni Usa del 2016. Questo premio è stato interpretato come un punto a favore del proprietario del Post e di Amazon Jeff Bezos, che di recente sembra aver ingaggiato una battaglia personale contro l’amministrazione Trump.

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La sede del Post (Wikipedia)

I Pulitzer premiano anche le arti e in questo caso la sopresa è arrivata dalla musica, dove ha vinto Kendrick Lamar, primo rapper ad aggiudicarsi questo premio. La commissione è rimasta colpita dalla capacità del musicista di Compton di «raccontare l’esperienza afro-americana» con l’album “Damn”.

Il Times ha vinto anche nella categoria vignette, per una serie di strisce che raccontano l’odissea di una famiglia di profughi siriani.

Premiata anche la stampa locale: la testata californiana Press Democrat ha preso la medaglia nella categoria “Breaking news”. L’agenzia Reuters ha ottenuto sia il premio per la fotografia che quello internazionale, grazie alle inchieste sugli squadroni della morte connessi al presidente delle Filippine Rodrigo Duterte.

DAVID TRANGONI

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