La testata del Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” di Torino

Città invisibili, lontane da tutto

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Per capire cosa vuol dire “periferia di Torino” basta leggere i volti di chi ci vive quando gli viene chiesto “Ma tu ti senti parte di questa città?”. Presidenti di Circoscrizione, nomi noti, direttori delle case di quartiere, semplici cittadini rispondono tutti allo stesso modo: sorriso stiracchiato, sguardo che si allontana, spalle che si stringono. Modi più gentili e meno drastici rispetto al “no” che hanno sulla punta della lingua. Luca Deri, presidente della Circoscrizione 7, temporeggia: «Hai una domanda di riserva?». Piero, 70enne con un lungo passato in Fiat e una casa a Mirafiori Sud, ci pensa un attimo: «Aspetti signorina, sto cercando di ricordare l’ultima volta che sono stato a Torino». Erika Mattarella, che dirige i Bagni Pubblici di via Agliè in Barriera di Milano, ride e dà una risposta che zittisce: «Noi sì, ci sentiamo parte della città. È la città a non volere Barriera: per loro siamo come un arto trapiantato da rigettare».
Sono quattro le Circoscrizioni considerate periferia: la 2 di Mirafiori Nord e Sud, la 5 di Borgo Vittoria, Madonna di Campagna, Lucento e Vallette, la 6 di Barriera, Falchera e Rebaudengo, e la 7 di Borgo Aurora. Tutti rientrano nella doppia definizione di periferia geografica per lontananza e difficoltà di accesso e periferia urbana per le differenze di tessuto sociale e il pregiudizio in cui sono immerse. Borgo Aurora fa eccezione, e lo spiega Luca Deri: «Siamo a un chilometro da Piazza Castello, da noi ci sono la sede di Smat, Lavazza, Cgil e Uil regionali. Eppure la gente ha quasi il timore di passeggiare per le nostre strade». Lo stesso vale per Borgo Vittoria: «Anni fa via Chiesa della Salute era la seconda via Roma» spiega Fabrizio Menini, 53 anni passati nella circoscrizione 5. «Ora nemmeno sanno dov’è».

In confronto a Napoli, Milano o addirittura Roma, Torino è una città piccola, con un centro storico arroccato tra Porta Nuova e il Valentino e una periferia enorme. Eppure. «Eppure di Ztl nelle vie dello shopping si parla da mesi» fa notare Marco, 40enne a passeggio con il cane per la Spina Reale, pieno Borgo Vittoria «ma su Corso Grosseto chi ha le finestre che affacciano sul cavalcavia respira amianto ogni mattina. Qualcuno ne parla sui gruppi facebook?». Con tutti e in modo automatico il discorso vira verso l’amministrazione comunale. “Assente” “mai visti” “l’ultima volta era prima delle elezioni”. «Avevano promesso che ci sarebbero stati e non avrebbero abbandonato le periferie. Ci avevamo creduto», sospira una signora che gestisce un’attività commerciale al mercato coperto di Piazza Montale, alle Vallette. La periferia è collegata male e vissuta peggio. Boccheggia nella speranza di non finire alla deriva, con gli ultimi fili che la tengono collegata alla città spezzati.

Eppure in queste periferie bistrattate c’è tanto. Tanto di spontaneo, che nasce da una cittadinanza attenta e consapevole. L’edicolante di Borgo Aurora, le Officine Kaos delle Vallette, le passeggiate anti-degrado in Borgo Vittoria. Lo scorso Natale, qualche ragazzino aveva preso a sassate le Luci d’Artista installate a Piazza Montale. Una bravata. Al gesto aveva risposto Luca Beatrice, presidente del Circolo dei Lettori, con un post su facebook: “Ci sono luoghi dove bellezza e cultura non arrivano; vanno lasciati al loro triste destino”. Dalle periferie si sono alzate sopracciglia e spalle, ma non i toni. «Distruggere le Luci è stato da stupidi, ma…» hanno detto i residenti: “…ma anche installarle non è stata la mossa migliore” è il non detto. Allora le avevano vissute come un contentino: «Un modo un po’ snob per far sembrare che l’amministrazione non si è dimenticata di noi» spiega Romolo M., padre di famiglia, disoccupato e residente nei palazzoni di via delle Pervinche. «Come se installare coni gelato luminosi potesse risolvere la situazione. Date incentivi per aprire una gelateria e lavoro a una famiglia, piuttosto». Non interventi calati dall’alto ma opere costruite per e insieme al quartiere. Come quelle dello street artist Xel sui palazzi bianchi della Falchera, nate, cresciute e sviluppate coi ragazzi della scuola media Leonardo Da Vinci. «È vero, l’arte in periferia non arriva» dice Marco Novello, presidente della Circoscrizione 5, «perché ce la creiamo da soli».

Per far sentire le periferie parte della città non servirebbe molto: aumentare le corse del 14 verso Mirafiori, spostare il mercatino delle erbe in via Stradella, mandare più spesso i mezzi dell’Amiat in via per Cuorgnè. Si creerebbe una catena di effetti positivi, secondo Menini: «Si porterebbe più gente in strada, le persone si accorgerebbero del bello, nascerebbe in loro la voglia di riappropriarsene. E invece delle solite dieci persone a bussare alle porte della circoscrizione e del comune ce ne sarebbero cinquanta. Sarebbe più facile ottenere più illuminazione e più telecamere, che aiuterebbero a risolvere il problema dello spaccio lungo la Spina Reale. Sono molti condizionali, ma potrebbero diventare una realtà».

La perfetta sintesi è il racconto di un ragazzo più che trentenne, nato e cresciuto alla Falchera e trasferito a San Salvario da qualche anno. «Quando ero piccolo il mio vicino di casa aveva una terrazza in cima al palazzo. Nelle giornate di sole mi faceva salire tutto entusiasta, allungava il dito e mi diceva “Guarda Paolo, laggiù si vede Torino!”».

MARTINA PAGANI