Il cibo nutre le mafie. Garantisce alla criminalità organizzata un giro d’affari di 24,5 miliardi all’anno. Un business facilitato da una “normativa inadeguata”. Ieri, giovedì 21 febbraio, al Festival del Giornalismo Alimentare, si è discusso di reati alimentari e criminalità, in un panel che ha visto la presenza di Fabrizio Galliati, presidente Coldiretti Torino, Maurizio Tropeano, giornalista de La Stampa e Gian Carlo Caselli, presidente del Comitato scientifico Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare ed ex magistrato. Nella sua lunga esperienza da togato, Caselli ha avuto a che fare con le mafie, soprattutto Cosa Nostra. Ne conosce le regole fondamentali. Soprattutto una: “Tutto ciò che tira dal punto di vista economico, attira il loro interesse”.
Dottor Caselli, le mafie e i reati alimentari. Si tratta di un problema serio?
Certamente. L’agroalimentare è il traino principale e formidabile del Made in Italy. Le mafie hanno una spiccata tendenza ad occuparsi di quei settori dal guadagno facile e dal rischio basso. Il settore del cibo da questo punto di vista è l’ideale. Non c’è nessun pericolo, perché la normativa vigente è un colabrodo, fa acqua da tutte le parti. Ci sono fenditure attraverso le quali le mafie penetrano facilmente. Bisogna impedirlo.
Che cosa potrebbe fare quindi il Parlamento?
Una nuova legge. L’attuale normativa non funzione ed è controproducente. Spinge a commettere nuovi reati agroalimentari. Una sorta di riffa, che punisce soltanto le bagatelle di poco conto, con sanzioni anche pesanti. Gratifica e grazia i comportamenti piuttosto gravi ai quali assicura impunità. Queste cose devono cambiare. Rischiamo di rimanere sempre qui a domandarci perché le mafie sono forti e arrivano a miliardi di business all’anno.
È necessario intervenire sulla filiera produttiva del settore alimentare?
Tutti i segmenti della filiera possono essere interessati da illegalità e criminalità. Occorre intervenire un po’ ovunque. Dal campo allo scaffale, per poi passare alla tavola e alla ristorazione. Non va dimenticato poi il settore dei trasporti. E soprattutto il mercato generale al dettaglio, dove i mafiosi sono molto presenti.
Come si può agire a livello europeo?
In Europa abbiamo un problema. Il cibo viene considerato qualcosa che deve circolare in base ai criteri della quantità e del profitto. Noi vogliamo che invece circoli in base a standard di qualità e distintività per difendere il nostro Made in Italy. Dobbiamo convincere l’Europa a cambiare registro.