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Checco Zalone e la transfobia, quando la satira manca il bersaglio

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Nella seconda serata del Festival di Sanremo, ad affiancare Amadeus nei momenti di intrattenimento è stato Checco Zalone. L’attore e comico ha portato sul palco tre canzoni satiriche e la prima, in particolare, ha toccato il tema della transfobia, raccontando la storia di Cenerentola ma sostituendo la protagonista con una donna trans, “Oreste”.

Nel racconto, il principe si innamora come da tradizione, generando l’indignazione del padre omofobo. Nel finale, però, arriva la sovversione: il re è un “cliente affezionato” della protagonista. La Cenerentola moderna, infatti, nella storia di Zalone è una prostituta, è brasiliana, si presenta con un nome maschile e con diversi tratti fisici tipicamente maschili (i peli sul corpo, le scarpe “taglia 48”, il pomo d’adamo). È una donna, cioè, che incarna molti degli stereotipi da tempo usati per attaccare e offendere le persone trans.

La difesa: è satira irriverente, non bisogna offendersi

Nella giornata di oggi, le principali testate nazionali hanno elogiato Zalone. Sulla stessa linea Alessandra Comazzi, critica televisiva de La Stampa, commenta: “Il Festival di Sanremo è lo spettacolo più trasversale della televisione italiana, e finora è stato molto ecumenico: ieri ha portato in scena Checco Zalone sapendo che avrebbe proposto dei contenuti ‘scorretti’, ma prima c’è stato il bellissimo monologo di Lorena Cesarini, mentre stasera a co-condurre ci sarà Drusilla Foer, che si autodefinisce un’anziana soubrette”.

Foer è un personaggio di Gialuca Gori: “È un attore che ha alle spalle una lunga carriera di recitazione en-travesti, e avrà certamente un carisma anche superiore alle altre co-conduttrici. Mi spiacerebbe che attraverso il filtro del politicamente corretto si perdesse il significato delle battaglie civili che Zalone porta avanti”. E a chi si è offeso per gli stereotipi messi in scena: “Consiglio di ricordarsi che cos’è la satira”.

Battaglia: “Non ha centrato il punto”

Dall’altra parte, c’è chi obietta a questa definizione: “La satira dovrebbe colpire persone di potere, tendenzialmente. Zalone è intelligente, credo che abbia tentato di farlo parlando del ‘re’ ipocrita”, afferma Alessandro Battaglia, ex coordinatore del Torino Pride e presidente dell’associazione Quore. Zalone, peraltro, ha chiarito la sua intenzione all’inizio del discorso, attaccando in modo esplicito il maschilismo che il Festival ha mostrato in altri casi negli anni passati: “Mi dispiace che invece, in questa circostanza, non abbia considerato l’effetto che avrebbe avuto su una fascia debole, molto debole, come quella delle persone trans e delle prostitute. Il suo voleva essere un racconto sull’ipocrisia generale, ma inserire certi contenuti ha impedito qualsiasi genere di ragionamento. Non dico un ragionamento serio, perchè non è il lavoro di Zalone, ma un ragionamento corretto sui temi che sollevava”.

Non è mancanza di ironia, chiarisce Battaglia: “Si può ridere e scherzare su tutto, siamo una società libera e ne vediamo la dimostrazione ogni giorno a partire dai social. Ma quel pubblico, quel canale, richiedeva degli strumenti secondo me diversi per far passare certi messaggi”. Servirebbe uscire dagli schemi a cui il pubblico è abituato, per provocare veramente: “Nelle prime due serate, con Fiorello e con Checco Zalone, si è visto quanto l’intrattenimento punta ancora su battute di basso livello quando si parla di sesso. Si gioca su cose banali, per arrivare prima al pubblico. Sarebbe bello alzare un po’ il tiro, con la satira”.

Negli altri due interventi della serata, Zalone ha preso in giro prima il tipo di rapper italiano che rivendica un passato di povertà nonostante abbia vissuto negli agi, poi i virologi che nei due anni di pandemia si sono prestati molto volentieri ai media, fino a diventare personalità televisive. In entrambi i casi, il messaggio satirico è arrivato forte e chiaro: i personaggi di Zalone incarnavano non tanto uno stereotipo, quanto un’esagerazione del reale.

Nella prima canzone, invece, a dominare l’attenzione è stato non l’attacco all’ipocrisia, ma l’utilizzo di luoghi comuni che hanno colpito soprattutto la categoria che si voleva difendere.