Mobilità, marketing e individuazione dei tumori: le intelligenze artificiali sono sempre più diffuse in ogni ambito della società, e la misura del loro potere è data dalla quantità di dati con le quali vengono alimentate e istruite. Ma la definizione del limite che stabilisce quanto le macchine intelligenti possano invadere le nostre vite è un tema che riguarda l’etica e i diritti, prima ancora che la tecnologia. Su questo stimolo giuristi e rappresentanti delle istituzioni si sono confrontati ieri, lunedì 18 dicembre, al Politecnico di Torino alla nona conferenza del Centro Nexa su “Etica e governance dell’Intelligenza Artificiale”, dove la corsa verso il futuro trova i suoi binari nel dibattito che mette sempre e comunque l’uomo al centro. Le sfide di oggi vanno dalla protezione dei posti di lavoro alla tutela della privacy, passando per una pubblica amministrazione competitiva. Ma prima ancora la priorità deve essere data alla comprensione di un cambiamento che è già in atto e che necessita di essere studiato e regolamentato.
Tra i temi toccati durante la giornata, quello dei pregiudizi delle macchine, che inevitabilmente possono essere ereditati dai loro stessi programmatori o, nel caso del machine learning – la capacità di autoapprendimento di un sistema – imparate durante l’acquisizione dei dati. “La stragrande maggioranza delle prove raccolte in ambito penale è composta da metadati”, spiega Carlo Blengino, avvocato penalista ed esperto di diritti digitali. “I sistemi per la prevenzione dei crimini che vengono testati, soprattutto negli Stati Uniti, sono in grado di elaborare grandi quantità di questi metadati, ma il tutto si basa sull’estrazione di piccole informazioni da contesti più ampi, e questo può generare gravi errori di valutazione”.
Una possibile risposta ai dubbi sollevati dall’impiego delle Intelligenze Artificiali arriva dal Giappone dove, grazie al fatto che in Oriente si fa già largo uso di questi sistemi, si sono anche delineati dei principi fondamentali sulla base dei quali i robot vengono programmati. “Obbedienza, rispetto della privacy, correttezza e sicurezza” sono i principi che devono regolare i sistemi autonomi, secondo Arisa Ema, professoressa associata dell’Università di Tokyo. In un Paese nel quale non è raro che ad accoglierci in albergo o a prepararci la colazione siano direttamente i robot, secondo Ema è fondamentale stabilire dei limiti precisi che consentono la convivenza tra uomo e macchina. “I robot sostituiscono le mansioni, non i lavori”, ha spiegato.
Eppure l’Intelligenza Artificiale può aiutare a snellire la pubblica amministrazione velocizzando i compiti di routine, ma come ha spiegato Carlo Mochi Sismondi, presidente e fondatore del think tank per l’innovazione nella pubblica amministrazione Forum PA: “Le istituzioni non devono rincorrere le mode, ma portare cambiamenti razionali che generino benefici, innovando e facendosi carico del rischio che ne consegue”. Per Sismondi l’Italia sta perdendo il treno per essere protagonista del cambiamento tecnologico, ma il problema non è tanto quello del prestigio quanto di consentire alle aziende e agli esperti italiani di essere competitivi sul mercato, senza dover dipendere da grandi multinazionali che finiscono per entrare in possesso dei nostri dati in cambio di servizi. “Non esiste alcuna innovazione ‘a costo zero’, per questo bisogna investire nel Paese per non dover importare tecnologie dall’estero”, ha spiegato Sismondi, il cui punto di vista trova il conforto di Antonio Samaritani, presidente dell’Agenzia Italia Digitale. “Gli impiegati pubblici hanno una media di 50 anni e la gran parte di loro non ha competenze spendibili in questo cambiamento”, ha osservato Samaritani. “Con il blocco del turnover non possiamo assumere giovani, e le ore per la formazione di quelli che abbiamo sono molte meno rispetto agli altri Paesi europei”.
Le sfide diplomatiche che i governi europei si stanno trovando ad affrontare nel loro rapporto con le multinazionali tecnologiche segneranno il futuro di tutti, ed è necessario che l’opinione pubblica sia sensibile al tema per chiedere scelte politiche adeguate ai nuovi tempi. “Se i cittadini non regolamentano il mondo digitale, saranno le grandi aziende a farlo, e sarà a spese della democrazia”, ha detto Vicente Guallart, fondatore dell’Istituto Catalano per l’architettura avanzata.
RAFFAELE ANGIUS
ROMOLO TOSIANI