C’è chi parla di Pasqua della ripartenza. Ma molti torinesi continuano a farsi i conti in tasca, soprattutto davanti all’inflazione ora aggiornata al 7,7%. Soglia che ancora desta preoccupazioni in famiglie e imprese, per non parlare in tutte quelle persone in difficoltà economiche. Come conferma l’Eurostat, negli ultimi anni nei Paesi dell’Ue stanno aumentando le persone a rischio povertà o esclusione sociale: uno su cinque è nell’occhio del ciclone. E l’Italia si posiziona persino sopra la media europea, al punto che sempre più gente non riesce a procurarsi un pasto entro fine giornata. Una tendenza sempre più evidente per chi fa un giro nelle mense sparpagliate fra Torino e dintorni, vissuta in presa diretta anche dal direttore della Caritas diocesana di Torino, Pierluigi Dovis.
Che Pasqua sarà nelle mense della Caritas di Torino?
“Le mense festive saranno aperte come al solito. Non penso che ci saranno aumenti significativi in termini quantitativi dovuti alla crisi attuale. Certo è che le mense festive sono più frequentate di quelle feriali ma soltanto perché ce ne sono di meno aperte. Quel che mi preoccupa non è il giorno di Pasqua in sé, ma ciò che sta prima e ciò che sta dopo, ovvero il fatto che sempre più frequentemente le persone che si rivolgono alle nostre mense non vengono di tanto in tanto o da un certo punto del mese in avanti, ma vengono quasi sempre e sempre più quotidianamente”.
Come bisogna interpretare tutto ciò?
“È una situazione che fa presente come il deperimento delle risorse stia diventando strutturale. E gli interventi sporadici in questo senso non servono. Bisogna cambiare rotta e ambire a una soluzione che coinvolga il governo, la Regione e la Città di Torino. Con le mense non risolviamo i problemi delle persone che entrano in contatto con le nostre strutture, anche se certamente accoglierle e farle sentire meno escluse è già un primo passo”.
Il governo Meloni punta a modificare i criteri del Reddito di cittadinanza a partire dal prossimo anno. Cosa si aspetta?
“Non ho aspettative troppo serene. Anche perché l’investimento sulle politiche attive del lavoro è ancora molta teoria e poca prassi. Abbiamo fatto una proiezione su coloro che percepiscono il Reddito di cittadinanza e sono venuti nei nostri centri nel 2022, provando ad applicar loro i nuovi criteri definiti: ci risulta che almeno il 33% delle persone che hanno continuano a venire da noi, saranno tagliate fuori dalla misura. Che è esattamente un +13% di quello che è stata la proiezione a livello nazionale di questa misura”.
Come si traduce nel concreto questa proiezione per le vostre strutture?
“Nella prassi, queste persone verranno nei nostri centri ma non più per ottenere un’integrazione rispetto al Reddito, ma per chiedere qualsiasi bene e servizio. A quel punto, onestamente non so se avremo la capacità di assorbire il colpo. Per di più, potrebbero arrivare persino percettori del Reddito che fino ad allora avevano il minimo sufficiente per sopravvivere”.
Com’è organizzata la rete in questo momento?
“Siamo attivi dal 1980 e all’interno della diocesi torinese si contano 130 Caritas parrocchiali che collaborano con le 120 conferenze di San Vincenzo e con i circa 90 gruppi di volontariato vincenziano. In totale si parla di 350 centri parrocchiali di servizio di carità che coinvolgono la Città di Torino e una parte dell’area metropolitana. Abbiamo circa tremila volontari attivi che nel 2022 hanno aiutato pressappoco 70mila persone in tutto il territorio, di cui almeno 40mila sono nella città di Torino, quella che sta vivendo la maggior incidenza della situazione della povertà”.
Secondo Istat ed Eurostat, negli ultimi anni la povertà assoluta vede numeri stabili, mentre crescono quelli della povertà relativa. Molti però continuano a vedere nel solo periodo pandemico, che comunque rappresenta uno scatto, lo spaccato per le difficili condizioni socio-economiche di molta gente. Cosa ne pensa?
“A Torino il periodo del Covid-19 si è inserito in un deterioramento delle risorse: non ha causato la nascita di ‘nuovi poveri’, ma ha un po’ amplificato il processo. Per esempio, durante il periodo di maggiore incidenza, nelle mense cittadine abbiamo avuto incrementi del 60% di presenze. Incremento che si è sgonfiato dopo la vetta toccata in quel periodo, ma che ha mantenuto un piccolo incremento di alcuni punti percentuali rispetto al pre-Covid-19. Il Covid-19 ha quindi evidenziato più che i numeri, le cause per cui le persone cadono e permangono in povertà: una tra tutte il lavoro non regolare perché di quel 60%, buona parte è rappresentato da persone che avevano un lavoro in nero e che durante il periodo del Covid-19 sono state lasciate a casa perché le aziende erano chiuse.”
Come vanno inquadrate queste situazioni?
“Col Covid-19 è venuta fuori la fragilità ormai connaturata a quella parte della popolazione che resta a vivere al pelo dell’acqua. Ciò significa che in questa situazione, queste persone restano sotto il pelo dell’acqua. E il problema è che quando sei sotto il processo tende a tirare sempre più in basso, con il rischio di andare sempre più velocemente in basso rispetto a dieci anni fa e con molte più difficoltà a tenerle a galla.”
Sta crescendo l’esposizione alla povertà?
“Assolutamente. Nel 2022, contando tutte le persone che si sono rivolte alla rete Caritas, circa il 53% è rappresentato da persone che in passato non si erano mai viste. Ciò significa che qualcuno che negli anni scorsi era riuscito ad affrontare i problemi ricorrendo alle risorse residue messe da parte, ora le ha terminate e questo viene a palesarsi vedendo l’aumento delle presenze nella nostra rete”.
Chi rappresenta questo “53%”?
“Ci sono una serie di categorie che lo compongono in prevalenza: anzitutto i lavoratori poveri. Poi i percettori del Reddito di Cittadinanza, una parte dei quali continua a chiedere aiuto alla nostra rete perché la misura si è dimostrata non del tutto sufficiente per i loro reali bisogni. C’è anche una fascia di persone con problemi sanitari che ci chiedono sempre di più la possibilità di entrare per fare visite di controllo, soprattutto di tipo diagnostico strumentale, visto che le liste d’attesa sono molto lunghe e sempre di più cercano di andare nel privato dove però i costi sono molto elevati e non sono sostenibili per queste persone. Non è tutto: soprattutto dopo il Covid, si vede un insieme di persone che non si stanno più curando perché le medicine, in primis quelle da banco, hanno per loro costi proibitivi. Infine, l’ultima categoria è quella delle fasce estreme, anziani e bambini.”
Cosa può dirci su quest’ultimi?
“Nei nostri centri gli anziani sono aumentati di parecchio, specialmente a Torino, tra il 2021 e il 2022. Ci chiedono il cibo, oltre alle medicine. I bambini non vengono ai centri d’ascolto dove invece si presentano i genitori che esternano problematiche differenti: dall’abbandono scolastico ai problemi psichici o addirittura psichiatrici, fino alle situazioni di fragilità di divisione interna nelle famiglie. Va considerata poi una parte di minori che hanno problema perché non sono autosufficienti e la famiglia non ha tutti gli appoggi necessari per la vita pubblica.”