“Invitare a casa artisti che ho conosciuto durante il mio percorso e presentarli agli amici, proprio come si fa con le fidanzate”. Non sono sei semplici concerti. Per il direttore artistico Alberto Bianco, Cantautori in Canottiera è molto di più, è quasi un affare di famiglia, la rassegna musicale ideata e promossa da The Goodness Factory che accoglierà all’Off-Topic dodici nomi di punta della scena indie italiana. Una cerchia di artisti stimati, uno sguardo personale, una playlist per l’estate ma, soprattutto, è l’opportunità per il pubblico di Torino di conoscere artisti che “pur non facendo la musica che va esattamente quest’anno, girano come dei matti con molti riscontri”.
Un caleidoscopio di sonorità e origini diverse monopolizzerà i martedì sotto la Mole: dal 12 giugno fino al 17 luglio si alterneranno Colombre e Dutch Nazari, Cimini e Mirkoeilcane, Andrea Poggio e Colapesce, Renzo Rubino e Gabriella Martinelli, Marco Guazzone e Giorgieness, Edda e Francesco Di Bella. Il meglio della nuova onda della musica italiana si riunirà nel cortile del nuovo hub culturale, subito prima di presidiare i palchi pomeridiani dei festival estivi. Con una sola raccomandazione: “Gli artisti torinesi potranno venire solo in qualità di spettatori”, sorride Bianco.
Nella nostra ultima intervista, in occasione del suo concerto all’Hiroshima Mon Amour, ha detto che a Torino manca la volontà di trovare spazi e punti di ritrovo. Questa rassegna, ma anche l’Off-Topic come luogo, possono colmare tali lacune?
“Si è capito subito che questo posto, ancora prima che aprisse, poteva diventare la nostra casetta. Quella che ormai ci mancava da tempo. Così è stato, anche se è aperto solo da un mese. Per quanto riguarda la rassegna, ammetto che collaborare nella realizzazione è un po’ come dare forma a tante idee che erano rimaste solo parole. È agire, partecipare e far diventare questo luogo un posto dove sperimentare non solo dal punto di vista musicale, ma anche di rapporti umani. Fondamentale avere uno spazio dove poterlo fare e delle persone che si prendano la briga di gestire la logistica di un evento simile. È complicatissimo: dodici artisti che arrivano da tutta Italia, di martedì, incastrando la data con i loro tour. E sono i nomi di spicco della scena di musica indipendente”.
Torino, da sempre di forte stampo underground, oggi accoglie la musica indipendente. Scene con origini simili ma del tutto diverse. Come mai?
“La scelta dei ragazzi che vengono a suonare è dettata ovviamente dalla qualità, dal rapporto che ho con loro e poi perché rappresentano la scena attuale. Purtroppo sotto il nome indie c’è veramente tutto, noi abbiamo cercato di dare una panoramica molto vasta: invitando artisti itpop come Cimini, per dirne uno, ma anche chi fa tutt’altro come Dutchi Nazari, Colombre o Colapesce. Abbiamo cercato una rappresentanza di qualità, riuscendoci grazie al supporto di The Goodness Factory. Ci sono venuti in mente altri nomi ma abbiamo deciso di non contattarli perché abbiamo capito che non ci serve presentarli al pubblico di questo posto”.
C’è stato, invece, qualche no?
“In realtà solo per motivi logistici, per impossibilità dovuta alle distanze o per impegni. Ma nessuno ci ha detto: no, non ci interessa”.
Sempre nell’ultima intervista, ha raffigurato Torino come un paesone dove tutti nella scena si conoscono, con la nostalgia delle serate da Giancarlo ai Murazzi. Questa rassegna, e non solo, dà un po’ l’idea che si stia lavorando per riportare quest’atmosfera. È così?
“Ci stiamo provando tutti, in maniera fortissima, perché è fondamentale. È necessario avere del tempo e un tetto dove poter parlare di musica e suonarla insieme. Io ci credo molto. Credo nella possibilità di ritrovarci. Perché è mancata troppo in questi ultimi due anni circa. E si percepisce anche quando poi parti e vai a suonare in giro per l’Italia”.
Autore, compositore, chitarrista, produttore, lei è un artista dai mille volti. Come si trova nella veste di direttore artistico?
“È molto divertente: chiamo persone che ho conosciuto, racconto loro il perché, che cosa troveranno e che cosa speriamo che succeda. I ragazzi mi supportano tantissimo con delle proposte e valutando insieme dei nomi. Un gioco perché decidi la musica preferita dell’ultimo anno”.
Insomma, è la sua playlist?
“Praticamente sì. La mia playlist di roba non torinese. Avessimo potuto inserire anche i torinesi nella rassegna sarebbe stata, con tutta l’umiltà del mondo, una delle cose più interessanti di quest’anno in giro. Anche perché, di solito, quando funzionano quelle cinque cose in un anno, tutti i cartelloni sono uguali. In questa rassegna, invece, ci sono artisti che hanno un pubblico bellissimo ed è importante che Torino li conosca. Poi come format, si porta l’artista a dare molto di più rispetto al concerto. Il musicista non ha il supporto della band e deve tirare fuori quella grinta che conosco bene. Elimini la parte degli arrangiamenti, del suonare bene ma viene fuori una poesia. Una cosa diretta, di pancia. Forte. Quindi il pubblico ha la possibilità di conoscere l’artista non corazzato dalle luci, dall’allestimento del live, dalla band. E c’è sicuramente uno scambio. Tutti i ragazzi che hanno suonato nell’edizione precedente hanno ritrovato nei loro live le 100-200 persone che li avevano conosciuti al Cap10100 durante la rassegna. Sono stati bravi, anche allora abbiamo fatto scelte fighe. E si sono creati un pubblico. Non è così scontato avere uno zoccolo duro in ogni città d’Italia”.
Anche per la scelta del periodo, dà un po’ l’idea dei consigli per l’estate e riporta alla mente una scena di amici, piena di contaminazioni. C’è qualcuno tra loro con cui le piacerebbe collaborare?
“Tutti. Sono persone con cui inconsciamente ho già lavorato perché ho preso qualcosa da loro e spero abbiano fatto lo stesso da me. Anche se a volte non è proprio palese o dichiarato, il featuring c’è già”.
Una rassegna dal tratto molto personale, riuscirà come direttore artistico a starne defilato? E la scena torinese parteciperà?
“No, non possono neanche entrare (ride, ndr). Sono serate dedicate a loro, a parte collaborazioni per esigenze di alcuni musicisti per cui mi sono offerto io. Ma è una rassegna che deve essere per gli artisti che arrivano da fuori. È interessante vedere quanti musicisti partecipino. Si parla della costruzione delle canzoni, di tour, di come magari si siano conosciuti tra di loro, perché spesso capita che siamo amici, noi quattro gatti. E si racconteranno aneddoti. L’anno scorso, a esempio, Diodato raccontò di quando ha conosciuto Erica Mu e fu divertentissimo”.
Su quest’onda, le piacerebbe realizzare rassegne simili?
“Assolutamente, mi succede una o due volte l’anno di sentire l’esigenza di organizzare concerti perché artisti a cui penso non hanno date torinesi. Se il direttore artistico non lo fai di mestiere, e questo per me non lo è, lo devi fare sentendolo davvero. In due anni ho organizzato due concerti. Per gruppi di poche persone, negli spazi piccoli a cui ho accesso io con la credibilità di direttore artistico (ride, ndr), ma sono eventi che propongo e promuovo con passione. E si rivelano situazioni molto belle per pubblico e per artisti. Non è detto che suonare nei club per un artista, in un preciso momento della carriera, sia la cosa migliore. A volte trovarsi 50/60 persone super interessate, che si fermano e magari acquistano il cd, è più utile per il progetto, per l’umore della band”.
Viste anche le numerose rassegne torinesi, per citarne una il Premio Buscaglione, il pubblico sta rispondendo? Ha ritrovato la stessa fame di due anni fa o è una camera dell’eco tra artisti?
“No, il pubblico è interessato. In questi casi ci sono organizzazioni che hanno una certa credibilità per cui la gente viene a prescindere dal musicista che suona. Sarà una situazione molto salottosa, come lo era al Cap 10100. C’erano tantissime persone e molto zitte. Il segreto? Tenere il volume bassissimo. Se lo tieni alto la gente chiacchiera, fa casino, se lo tieni basso è obbligata a stare in silenzio e a chiedere agli altri di ascoltare”.