La testata del Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” di Torino

Giulia Carluccio è laureata in Lettere moderne e da sempre si occupa di Cinema al Dams, facoltà che lei stessa ha contibuito a fondare. Ma è stata anche presidente del corso di laurea, vicedirettrice di dipartimento e senatrice in Accademia.

Che cosa dovrebbe fare un ateneo competitivo per promuovere una didattica innovativa?
«Bisogna innanzitutto lavorare sull’interdisciplinarietà, mantenendone le specificità, ma mettendole anche a confronto. È una grande sfida, ma il nostro ateneo può raccoglierla».

L’interdisciplinarità della ricerca è un obiettivo strategico dell’Ateneo. Come volete incentivarla nel concreto?
«L’innovazione interdisciplinare della didattica riguarda anche la ricerca, anzi è proprio dalla ricerca che deriva. In molti bandi europei è richiesta interdisciplinarità ma bisogna snellire le procedure burocratiche che rendono difficile la comunicazione tra i dipartimenti. Si deve poi rafforzare la struttura della ricerca con momenti di sensibilizzazione e di preparazione ai bandi».

La terza missione dell’università è quella di avere un solido rapporto con il territorio: in quali ambiti intendete investire maggiormente? Perché?
«I punti forti della terza missione sono molti. Se riuscissimo a fare una rilevazione attenta di quanto già si fa avremmo un panorama estremamente variegato. Oggi la comunicazione della divulgazione scientifica e delle scienze umanistiche è molto ampia, con mostre, festival e conferenze, che illustrano i risultati di quello che si è fatto a livello scientifico. L’ateneo deve valorizzare le specifiche aree, in una dinamica continua, perché dall’archeologia alla medicina abbiamo molto da offrire alla cittadinanza».

Dati recenti hanno dimostrato l’esistenza di un significativo “gender gap” anche in questo Ateneo. Come pensate di affrontare il problema?
«Innanzitutto stando attenti a tutelare e sostenere le carriere più sfavorite come quelle femminili. La maternità non deve essere elemento di svantaggio e si possono creare forme di supporto, come gli spazi nido, usando le competenze che abbiamo, con l’impiego di tirocinanti delle nostre facoltà. Non ci riferiamo solo al corpo docenti, ma a tutti coloro che lavorano e anche agli studenti. Intendiamo anche valorizzare ciò che già esiste, come il Cirsde, il centro interdisciplinare di ricerca e studi delle donne e di genere. Si può fare di più, anche perché l’azione di questi soggetti va inserita in una politica che tuteli le altre questioni di genere. Il nostro ateneo ha attivato il primo corso di laurea di storia dell’omosessualità e il primo corso di cinema e gender, che tengo io. L’idea è che tutto ciò vada sostenuto anche a livello di formazione».

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