“La reale differenza tra il bullismo nella vita reale e quello online è che il cyberbullo non percepisce le conseguenze delle sue azioni, non vede la sofferenza della sua vittima, è nascosto dietro a uno schermo”. L’avvocata Letizia Maria Ferraris arriva subito al cuore della questione, e apre i lavori dell’ormai tradizionale convegno contro bullismo e cyberbullismo organizzato dal Consorzio per il Sistema Informativo Piemonte con il patrocinio della Regione Piemonte in collaborazione con l’Associazione Bullismo No Grazie. Inoltre, chi mette in atto comportamenti di questo tipo sui social o nelle chat “non deve necessariamente essere una persona forte, in grado di imporsi, può anche essere un debole che online riesce a fare ciò che non può nella vita reale”.
Per questo, e per via della pervasività del fenomeno, che ormai interessa fasce di popolazione sempre più giovani, e che può colpire le vittime 24 ore su 24, è fondamentale “una comunicazione aperta tra genitori e figli”, spiega Pier Paolo Gruero, responsabile della cybersicurezza per Csi Piemonte, “il rapporto non deve essere solo di controllo, i nostri ragazzi vanno responsabilizzati, aiutati, anche tramite un supporto emotivo, a venire da noi con i loro problemi. Io, ad esempio, ho le password dei device delle mie figlie, ma ho promesso loro di non usarle a meno che non sia davvero necessario”. È della stessa idea anche la psicologa Marina Turaccio: “la figura genitoriale non deve solo imporre regole ma mostrare un comportamento coerente, e non ha senso che chi commette atti di bullismo sia punito o addirittura umiliato senza indagare sulle origini delle sue azioni”.
Fabio De Nunzio, presidente dell’associazione Bullismo No Grazie, però, denuncia come non sempre questi adulti siano disposti a impegnarsi per proteggere i propri figli: “una buona parte di loro si è dimenticata di fare il genitore, lascia che i ragazzi facciano quello che vogliopno, senza controllo, o persino li aiutano ad aprire profili social prima di avere l’età minima consentita, non si informano più su come stiano – e, lamenta – quando facciamo incontri nelle scuole sul tema gli studenti sono molto ricettivi, ma invece i genitori spesso non vengono, solo il 10-20% partecipa”.
Proprio le scuole sono luoghi dove il bullismo dovrebbe essere affrontato, ma spesso dove gli educatori non sono formati a sufficienza per farlo in modo corretto “esistono i referenti per bullismo e cyberbullismo – racconta la pedagogista Chiara Crescione – ma poi nella realtà questa figura non agisce, spesso non si sa nemmeno chi sia”. Dovremmo, propone, “istituire un’ora di empatia nel programma formativo: i bambini e i ragazzi hanno bisogno che diventiamo un esempio per loro, a volte a loro non interessa delle materie perché hanno altre preoccupazioni”.
È importante inoltre ricordare, secondo Mario Danilo Pipitone, Commissario Capo della Polizia Postale di Piemonte e Valle d’Aosta, che la legge 71 del 2017, che punisce questo fenomeno, mette al centro i giovani, che siano vittime o autori di comportamenti scorretti, per proteggere le prime, ma anche per rieducare i secondi.
Nel corso del convegno torna spesso l’idea di fare rete, di collaborare per ottenere dei risultati, “bisogna riflettere sulla comunità educante, scuola, famiglia, sport non possono agire ognuno in modo autonomo”, ricorda la ricercatrice del Cnr Lisa Sella, e Pietro Pacini, presidente di Csi Piemonte annuncia “noi potremmo collaborare con le università per condurre studi e ricerche sul tema, e sfruttare le nostre risorse esistenti per costruire un coordinamento tra scuole, biblioteche, centri giovanili”.