“Il conflitto è diventato troppo ampio, ormai è quasi una questione religiosa”. Così Madhav Chinnappa, ex direttore dello sviluppo dell’ecosistema delle notizie presso Google e consulente digitale, parla del conflitto tra le piattaforme big tech e news media di tutto il mondo. Una questione al centro del dibattito internazionale, soprattutto dopo che lo scorso ottobre l’azienda fondata Larry Page e Sergey Brin aveva minacciato di bloccare i siti di informazioni canadesi sul suo motore di ricerca, in risposta alla nuova legge che impone ai giganti digitali di pagare i media per la condivisione dei loro contenuti. “Arriveremo a un punto in cui non potremmo più aggirare un dialogo tra le parti – incalza Chinnapa al Festival di giornalismo di Perugia -. Le piattaforme dovranno farsi delle domande di carattere civico sulla democrazia, anche se è difficile valutare il valore economico di una notizia”.
Ma la situazione non riguarda solo Google: “Tra il 2012 e il 2018 le piattaforme e i giornali hanno vissuto un’età dell’oro – racconta Jesper Doub, ex direttore delle partnership internazionali per le notizie presso Facebook e Meta: i siti d’informazione un hanno creato un sacco di traffico e gratuitamente hanno ricevuto i benefici dalle piattaforme. Tutti erano contenti e ognuno riceveva la sua parte. Il clickbait ha funzionato molto bene”.
Poi tutto cambia: “Nel 2019 i video brevi sono diventati virali e portavano un sacco di traffico – dice Doub -. Per i giornali è stato difficile fare contenuti di massimo tre minuti, poiché sintetizzavano troppo le notizie. Da quel momento abbiamo iniziato a incolparci a vicenda perché avevamo una visione diversa del mondo: Il giornalismo guarda alla democrazia e Facebook ai soldi. Ma le piattaforme dovranno farsi delle domande. Faccio un esempio. Nelle Filippine Facebook è l’unico modo per avere notizie dall’esterno. Se si oscurasse come succederebbe?”.