Dal 9 agosto del 2020 una faglia divide la Bielorussia. Una voragine invisibile che minaccia un costante allargamento e che segna le sorti della libertà di stampa nello spazio dell’informazione nazionale. Uno spazio più che mai cruciale per il rafforzamento del potere di Aljaksandr Lukašėnka, la cui presidenza si lega a doppio filo agli interessi di Mosca sin dal 1994: “Se volete capire oggi cosa ne sarà domani della propaganda di Mosca, guardate a come il potere ha manipolato i mezzi di informazione in Bielorussia sin dalla caduta dell’Unione Sovietica”, ci racconta Natalia Belikova del collettivo di analisti Belarus in Focus, ospite al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia.
Quasi due anni fa la Bielorussia ha vissuto quella che, a detta di molti, fu la più fervida stagione di proteste nella storia della nazione. La miccia di allora furono i presunti brogli alle elezioni presidenziali in cui Lukašėnka sconfisse Sviatlana Tsikhanouskaya, principale voce di opposizione politica e portatrice delle istanze di denuncia nei confronti della propaganda di Minsk e dei metodi repressivi adottati dal governo nei confronti dei mezzi di informazione indipendenti. “Il nostro Paese non ha mai avuto una fase di completa libertà dei media da Mosca – prosegue Belikova -. Restiamo uno stato occupato de-facto dalla propaganda russa. Un’occupazione che è rimasta sullo sfondo fino alle sollevazioni del 2020, ma che da quella data in poi è diventata esplicita”.
Da allora, lo spazio per i media indipendenti è stato eroso fino a rendere impraticabile l’esercizio della libertà di stampa. Attualmente sono 26 i giornalisti in carcere con accuse di comportamenti criminali nei confronti della sicurezza del Paese. Complessivamente le detenzioni sono state oltre 500, con 68 casi registrati di violenza fisica e tortura. Il moltiplicarsi delle offensive nei confronti dei media ha fatto della Bielorussia il Paese europeo più ostile per i giornalisti, al 158esimo posto su 180 del World Press Freedom Index di Reporters Sans Frontières. Di fronte a questo scenario, oltre 200 operatori dei media si sono visti costretti a uscire dalla Bielorussia per provare a raccontarla. Tra questi c’è Andrej Dyńko, fino a pochi mesi fa caporedattore di Naša Niva, uno dei più vecchi settimanali bielorussi. Chi lo ha succeduto è stato imprigionato dalla polizia bielorussa, dopo che il governo aveva ordinato il blocco del giornale. Ora Dyńko parla senza nominare il luogo da cui si collega: “Naša Niva conitnua, come può, a lavorare, ma ciò che temiamo di più è perdere i pochi giornalisti ancora operativi in Bielorussia. Il futuro dei media del mio Paese dipende dal mantenimento di questi contatti”.
Nel 2020 i metodi di repressione hanno cercato, riuscendoci quasi completamente, a incardinare nel panorama dei media bielorussi un sistema di accesso e fruizione alle notizie il più possibile centralizzato. Lo hanno fatto anche grazie a interventi legislativi che hanno legalizzato pratiche di censura e persecuzione dei giornalisti. Dalla seconda metà del 2020, Minsk ha dapprima ristretto l’accesso ai siti di media popolari come Tut.By, la testata affiliata Zerkalo.io e Naša Niva – ridefiniti allo stesso tempo “soggetti estremisti” – per poi rendere impossibile la sostenibilità finanziaria delle testate, molte delle quali contavano sul contributo di partner privati. Un’azione che ha portato molti media a cercare rifugio altrove per continuare a raccontare quel che accade in Bielorussia senza temere ritorsioni: “Alla fine siamo sopravvissuti. Ma per farlo abbiamo dovuto lasciare il nostro Paese e spostarci in Ucraina. È paradossale a dirlo, ma tra la repressione feroce che abbiamo subito e una tensione politica alle stelle, poi sfociata in conflitto, abbiamo scelto la seconda”, ci spiega Aleksandra Pushkina, tra i fondatori di Zerkalo.io.
Insieme a Tut.By, Zerkalo rappresentava la più diffusa testata del Paese, raggiungendo il 63% degli utenti bielorussi attivi su internet. A maggio dello scorso anno, la polizia bielorussa ha ordinato la chiusura degli uffici di Zerkalo e arrestato quindici membri dello staff. Poco dopo è arrivato il blocco totale da parte delle autorità, che ha costretto i giornalisti ancora attivi a spostarsi in Ucraina. Dopo l’inizio dell’aggressione russa a Kiev, Zerkalo è stato bloccato anche in Russia: “Non abbiamo quasi più nessun giornalista operativo dalla Bielorussia – prosegue Pushkina. Per poter lavorare abbiamo deciso di affidarci completamente ai racconti dei nostri lettori, che ci contattano direttamente dalla Bielorussia. È molto complicato mantenere solidi i canali di comunicazione con loro e curare la nostra comunità di riferimento, ma lavorare in questa situazione ha forse rafforzato la visione che i cittadini del nostro Paese hanno nei confronti del nostro operato. Lavoriamo pensando a quello che i nostri lettori si aspettano possiamo dare al di fuori della Bielorussia: il messaggio di una libertà soffocata”.