“Possiamo darci del tu?” mi chiede Stefania Belmondo, poco dopo l’inizio della nostra intervista, con l’umiltà che contraddistingue i grandi dello sport e non solo. E poi mi racconta, con onestà e umanità, tutta la sua carriera a partire dagli inizi a Pontebernardo, in provincia di Cuneo. “Mio padre aveva costruito un paio di sci di legno, dipinti di rosso, inizialmente per me e per mia sorella e poi anche per mio fratello, che è arrivato dopo”.
Lo sci alpino era costoso per una casalinga e un dipendente dell’Enel, “ma io avevo bisogno di muovermi nella neve, così dissi a mio padre che avrei provato con lo sci di fondo. Partecipai quindi, con la scuola e con gli sci club, ad alcuni corsi di sci di fondo”. Ai genitori deve moltissimo, mi spiega Belmondo: “Quando ero un’atleta professionista non l’ho mai ammesso, ma parte dei miei risultati sportivi li devo ai miei genitori. Con me la natura è stata generosa: a esempio, sono bradicardica, condizione ottimale per chi fa sport”. La genetica da sola, però, non basta. Per partecipare a cinque Olimpiadi e vincere 10 medaglie olimpiche servono passione, dedizione e costanza: “Sono sempre stata una professionista, anche prima di diventarlo per davvero”.
Dopo i primi passi mossi a Pontebernardo, per Belmondo, con gli anni, sono arrivate le prime gare e i primi podi, piccolo assaggio dei piazzamenti da capogiro – due ori, tre argenti e cinque bronzi – nelle Olimpiadi di Albertville 1992, Lillehammer 1994, Nagano 1998, Salt Lake City 2002. A proposito dei due ori olimpici vinti in carriera, Belmondo commenta: “L’oro olimpico ha sempre un sapore speciale, anche di più di un oro mondiale. L’oro olimpico di Albertville mi ha dato molta soddisfazione perché era il primo per una donna italiana nello sci di fondo. Dieci anni dopo, a Salt Lake City, l’oro è arrivato dopo la rottura di un bastoncino e molte altre peripezie: anche in quel caso è stato molto emozionante”.
Degli anni come atleta professionista, Belmondo ricorda con un velo di malinconia la frenesia delle continue trasferte: “Avevo sempre le valigie pronte per l’aeroporto, ero sempre in giro per il mondo”. La transizione a una vita più calma, dopo il ritiro dalle scene – arrivato dopo l’oro di Salt Lake City – è psicologicamente provante per la sciatrice. “Per un periodo non sono riuscita a seguire in tv le gare delle mie compagne, ho dovuto abituarmi a stare casa. Ogni tanto quella sensazione si ripresenta e vorrei tornare al periodo in cui gareggiavo. Oggi però ci sono i miei due figli, che sono la cosa più importante della mia vita”. La passione per lo sport, però, rimane un elemento chiave nella vita di Belmondo, che spiega: “Io non sono stata solo un’atleta, sono appassionata di tutto lo sport. Guardo le gare di fondo, il Tour de France, il Giro d’Italia, la Moto Gp. Mi piace guardare il gesto tecnico e pensare a come viene fatto”.
Ultima tedofora di Torino 2006, Belmondo è stata tedofora anche durante la cerimonia di apertura dei Fisu Games 2025. “Ai ragazzi che hanno partecipato ai Giochi – dice – vanno i miei complimenti: fare sport ad alto livello e studiare insieme è difficilissimo”. E a tutti i giovani, invece, consiglia “di fare sport, non necessariamente a livello agonistico, per gli insegnamenti che lascia. Lo sport insegna le regole, la resistenza, ad accettare la fatica e il dolore”.